È sotto gli occhi di tutti che il settore della ristorazione sia tra i più penalizzati dalle restrizioni anti Covid.
Distanziamento e isolamento dei tavoli e una infinita serie di accorgimenti necessari per il contenimento del contagio non sono bastati ad arginare il virus e così, a fasi alterne, assistiamo a parziali chiusure e repentine riaperture. In molti hanno preferito non sottoporsi a questo continuo up and down, scegliendo la chiusura totale anche per lunghi periodi. A chi ha scelto, invece, di tentare l’avventura dell’apertura è rimasta solo la possibilità di offrire un unico servizio: il takeaway che ogni operatore cerca di modulare tra delivery e asporto secondo le proprie preferenze, in base al territorio in cui opera e al target di riferimento a cui abitualmente si rivolge.
Questa particolare e inedita situazione, se da un lato sta mettendo in seria difficoltà una intera categoria professionale e lavorativa a livello mondiale, dall’altro sta anche offrendo l’insolita occasione di ripensare al modo di operare e ai servizi da offrire. Il risultato è che uno dei settori più mortificati da questa terribile pandemia è anche quello in maggiore fermento e che sta vivendo un momento di particolare innovazione.
Abbiamo pensato di aprire una rubrica di conversazioni con chef, aziende e altri operatori del settore per raccogliere i prodromi di questo importante momento di rinnovamento e trasformazione che, anche se non cercato e voluto, sta di fatto portando una serie di nuove idee e nuovi stili di organizzazione dell’intera linea produttiva, che modificheranno sostanzialmente il modo di rapportarsi con la clientela anche quando questo stato di emergenza finalmente cesserà.
Riassumi brevemente la linea temporale della tua esperienza di lavoro nel periodo di pandemia. Hai avuto chiusure, pause, riaperture, di nuovo chiusure? A che punto sei adesso? Si è trattato di un momento inaspettato nella mia vita professionale e nel business dell’hotel in cui lavoro. A febbraio 2020 abbiamo festeggiato uno dei mesi più proficui a livello di revenue e GOP, nel corso di un team member party sono state confermate le ottime previsioni di business per i mesi a venire e solo un paio di settimane dopo, con ancora in bocca il gusto dello Champagne bevuto, ci siamo trovati a dover chiudere i battenti. Io sono uno chef che ha nel suo curriculum le aperture di 3 hotels e un interessante numero di start up di ristoranti o nuovi concetti, non sono certo avvezzo a chiusure. Come un colpo di mannaia siamo stati costretti a chiudere l’hotel il 16 Marzo 2020, incluse tutte le attività ristorative, SPA, Casino. In un batter d’occhio ci siamo trovati a fare i turni per la sorveglianza dello stabile. Quello che solo poche settimane prima conteneva centinaia di persone si è trasformato in un involucro di vetro e acciaio senza vita. Un incubo camminare per corridoi vuoti, freddi e illuminati solo dalle luci di emergenza.
Sono seguite settimane nevrotiche dove abbiamo preso decisioni impopolari, ma necessarie. Dei 75 cuochi del mio team ne sono rimaste in libro paga solo 35. Medesima situazione per tutti gli altri reparti dell’hotel. Abbiamo ridotto i nostri salari e grazie ad un’ottima situazione finanziaria siamo riusciti a passare il primo lockdown. Solo l’11 maggio è stata riaperta la ristorazione con una terrazza e l’hotel il 1 luglio. Abbiamo gestito l’hotel al 30 o forse 40% delle sue potenzialità. Delle 7 outlets ristorative, solo 4 sono state riaperte e convertite in altri concetti. Per esempio, nel ristorante gourmet, The Able Butcher, abbiamo firmato un contratto di esclusiva con la compagnia creatrice de Le Petit Chef, un concetto mediatico con video tridimensionali proiettati sui tavoli prima del servizio delle portate. Abbiamo piazzato un video proiettore su ogni tavolo ed abbiamo iniziato ad avere molte prenotazioni. Purtroppo a dicembre 2020 ci siamo trovati di nuovo in lockdown con la possibilità di fare ristorazione solo per i clienti in hotel. Clienti tassativamente business e qualche equipaggio di compagnie aeree ancora operanti su Praga. Al momento siamo ancora in lockdown e le previsioni più ottimistiche sono di poter riaprire ai passanti solo da metà maggio.
Come hai impiegato l’inaspettato periodo libero? Molti raccontano di uno strano torpore, di un’inabilità a focalizzare sulle cose che avrebbero sempre desiderato fare “se solo ci fosse il tempo”. Andavo in hotel quasi tutti i giorni e non sono rimasto inattivo. Ho passato giornate a creare nuovi organigrammi e proiezioni basate su potenziali percentuali di occupazione futura. Non sono mai mancati i contatti personali con tutti i dipendenti a cui ho dovuto annunciare il termine del contratto e le conseguenti video chiamate per mantenere informati tutti gli altri. Ho dedicato il resto del tempo all’ascolto di musica e a leggere e studiare, soprattutto testi di filosofia. E’ stata una vacanza forzata che mi ha permesso di convergere le mie attenzioni su argomenti che mi hanno aiutato notevolmente a passare la crisi, aprendomi un universo di conoscenza infinito.
Lavorando per una compagnia internazionale, quanta libertà hai avuto per trovare soluzioni ad hoc per la tua location e il tuo team? Come leader di un team così ampio sono riuscito a dare un mio personale contributo alla risoluzione dei problemi legati a questa crisi. Ho preso iniziative personali che sono state molto apprezzate sia dai miei colleghi, il mio staff ed il management. Non ho mai perso il contatto con la mia gente, nel bene e nel male sempre in contatto. Non c’è nulla di peggiore della mancanza di informazione in periodi di crisi. Questo non l’ho mai permesso ed ha rinforzato la mia leadership.
Quali strategie, se ce ne sono state, sono state implementate per rimanere in contatto con la clientela durante il periodo di chiusura dell’albergo? Il reparto vendite si è attivato immediatamente sia a livello locale sia come corporate. Da subito abbiamo capito che dovevamo cambiare la nostra ricerca di potenziali clienti. Da compagnia con clientela internazionale ci siamo presto convertiti ad un turismo locale o che poteva raggiungere la nostra struttura in auto, dato che i voli latitavano costantemente in tutti i maggiori aeroporti. Nel corso dell’estate 2020 siamo diventati un hotel leisure, abbandonando totalmente la nostra concezione di business hub. Abbiamo aperto le porte a coppie in vacanza, famiglie intere occupavano le nostre stanze e utilizzavano gli spazi comuni. In F&B ci siamo tirati su le maniche e dal nulla abbiamo creato un nuovo outlet: una terrazza affacciata alla Vltava mai sfruttata prima è diventata un beer garden con prezzi popolari e dal successo immediato. L’offerta gastronomica è stata totalmente mutata per accontentare le aspettative di una nuova tipologia di clientela ed i prezzi ridimensionati. Il linguaggio marketing e le frasi chiave di promozione hanno assunto una dimensione specifica per assicurarci una nuova fascia di mercato. Questi cambi hanno preso in considerazione anche i motori di ricerca web, incanalando ad hoc i corretti messaggi di vendita.
Come sei arrivato al tuo menu di take-away? Quali fattori, oltre a quelli puramente pratici, sono stati decisivi nel decidere quali piatti fossero buoni candidati? Ci sono arrivato come una naturale conseguenza della situazione e come progetto per mantenere alto l’engagement del mio team. Mi spiego meglio: non c’è nulla di peggio di un team inattivo per vederne crescere sconcerto e panico. Bisogna trovare degli input e delle idee che mantengano alto il loro impegno operativo e mentale. Ho creato per i sous chef dei percorsi di training su gestione dei costi, utilizzo di un nuovo software per la gestione delle schede tecniche delle ricette, corsi di leadership e abbiamo partecipato con successo ai concorsi di cucina che la compagnia ha ideato nel frattempo. Dopo pochi mesi è nato quindi il progetto Taste of Hilton Prage at Home con un’offerta orientata al gusto del pubblico locale e non solo, abbiamo parecchi espatriati fra i nostri clienti. Ne sono stato un accanito difensore, nonostante il management non vedesse di buon occhio il ritorno dell’investimento. Abbiamo fatto delle ricerche ed abbiamo capito subito che dovevamo creare un’offerta orientata alla qualità e alla esclusività: facciamo quello che gli altri non fanno, proponiamo un prodotto di alta qualità a prezzi interessanti e con un packaging accattivante. Offriamo alla clientela piatti precotti e diamo loro tutto quello che serve per terminare a casa un prodotto con la stessa qualità dei nostri ristoranti. Ogni piatto ha una ricetta/indicazioni per come rigenerare il prodotto a casa e le foto danno un suggerimento di presentazione.
Abbiamo creato un sito web dedicato da cui si possono fare gli ordini on line: http://www.tasteofhiltonprague.cz/en/home-english/
Abbiamo un’offerta di base che viene incrementata da offerte stagionali. E’ stata recentemente creata quella per San Valentino con pacchetto di cibo e una carta di vini da abbinare dal prezzo molto accattivante. Sto attualmente lavorando a quella per Pasqua, seguirà quella tutta dedicata a un ingrediente molto apprezzato in Repubblica Ceca, gli asparagi.
In che modo l’esperienza della pandemia ha cambiato il tuo operato in cucina? In forma radicale!
Mai mi sarei atteso una simile situazione, ma ho sempre in mente che un buon capo deve sempre sentirsi a suo agio anche nelle situazioni sconfortanti. Ho trovato dei motivi positivi in questa pandemia che mi hanno aiutato a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto. Il ridimensionamento della brigata mi ha consentito di rafforzare maggiormente i contatti umani e professionali con tutti i componenti. Se prima c’era un team altamente performante, ora il team è una famiglia altamente performante e agguerrita a trovare soluzioni per uscire dal tunnel. Ho sempre avuto uno stile di leadership che mi imponeva la condivisione di scelte nell’offerta gastronomica. Ho sempre detto che attorno a me non ho solo bisogno di braccia, ma di cervelli operativi. Certo, quando faccio una scelta devo prendere una precisa decisione, ma non mi permetto mai di farla senza aver prima sentito pro attivamente i suggerimenti e le idee dei miei ragazzi. Questo li aiuta a crescere ed il menu lo sentono molto più “loro”.
In questa pandemia ho rinforzato questa mia linea guida ed ho voluto che il prodotto assumesse un connotato di tipicità tradizionale ceca ma ricercato nella presentazione. Meno importazione di prodotti dall’estero e una maggiore visibilità a quella locale con una scelta mirata di produttori del paese. La maggiore presenza di una clientela locale mi ha facilmente dirottato verso un’offerta di quel tipo. Se vuoi avere successo fa quello che al pubblico piace, proponendo anche qualcosa che possa stuzzicare la loro attenzione e talvolta accompagnalo verso l’inatteso.
A lungo termine, che tipi di cambiamenti pensi che questo periodo porterà al settore dell’ospitalità? Le proiezioni dei specialisti nel settore prevedono un ritorno ai regimi del 2019 non prima del 2025/26. Questo può variare dall’andamento della pandemia, dai risultati delle vaccinazioni di massa e dalle scelte dei vari governi. Ripetendo il mio precedente concetto di bicchiere mezzo pieno, credo che vi sarà come positiva conseguenza un radicale RESET del concetto di ristorazione e ospitalità. Vincerà la qualità servita a prezzi onesti, privata di fronzoli non necessari. Si darà maggior attenzione alla buona tavola e al servizio senza per forza richiedere un mutuo in banca. Gli chef faranno un bel bagno di umiltà e serviranno molto più quel che piace ai loro clienti e meno quello che segue solo le loro egocentriche scelte. Avremo finalmente una generazione di chef molto più consapevole delle vere necessità della clientela e quest’ultima sarà sempre meno incline ad accettare il divismo culinario.
Negli hotels vedo meno problemi per la fascia resort e boutique. Diversa situazione per la fascia congressuale dove la ripresa è legata solo da una ripresa dei trasporti di massa. Prevedo anche che molte aziende decideranno di fare maggiormente congressi e riunioni on line, sfruttando tutte le attuali e future tecnologie. Già ora ne stiamo apprezzando i benefici e non solo come prevenzione pandemica, ma per la libertà che ci consente, come home working, meno viaggi dai conseguenti disagi che gli spostamenti creano. Tuttavia, l’uomo necessita di contatto umano e non possiamo vivere senza il calore di un abbraccio. Dovremo abituarci a convivere per diversi anni con nuove abitudini di vita. Quello che ora ci sembra strano diverrà normale abitudine in futuro. Le brigate di cucina e sala saranno ridimensionate e questo creerà disagi e perdita di posti di lavoro. Sopravvivranno a questa cernita soltanto i più validi operatori. Suggerisco ai giovani di prepararsi sempre un piano B e di cercare delle idee alternative per convertire in tempi brevi le loro fonti di reddito. Chi ha delle idee o dei talenti li sfrutti al meglio.
In Italia, la stampa del settore è piena di consigli contrastanti per il governo affinché intervenga a favore del settore della ristorazione. Lavorando a Praga, godi di un duplice punto di vista: hai potuto seguire gli eventi e le loro conseguenze per questo comparto sia in Italia, sia in Repubblica Ceca. Vivendo all’estero da parecchi anni confesso di vedere con simpatica curiosità la situazione italiana, dove ha sempre ragione chi grida più forte. Non voglio entrare nei meriti politici, ma le scelte dei nostri governi sono sempre più imbarazzanti agli occhi di chi vive all’estero. Mi chiedo come riusciamo a sopravvivere ed essere sempre uno stato di diritto…
La stampa di settore ha sempre dettato legge sulle scelte di intere generazioni di cuochi. Continuerà a farlo oppure le nuove leve si faranno più determinate a non dare loro retta? Come detto prima, mi auguro che le nuove generazioni scendano molto meno a patti con guide e stampa, favorendo una dimensione umana dell’offerta gastronomica a discapito di un clientelismo che vedo sempre meno sufficiente per la sopravvivenza dei ristoranti. Una stampa di settore che promulga consigli per uscire dalla pandemia assomiglia molto alle discussioni di bar del lunedì dopo partita dove tutti sono sportivi e super esperti di calcio – senza averlo mai giocato a livello agonistico. Credo che un sano silenzio da parte di molti inesperti sia una benedizione divina per ogni attività. Al momento sono certo che le uniche autorità che possono avere voce sono quelle medico sanitarie, anche se anche qui la veridicità è molto opinabile. Confesso che a dispetto di una confusa situazione politica nel mio paese non vedo molto di meglio da parte di altri paesi europei. Siamo tutti molto incerti su cosa fare per diminuire i contagi e tornare a una “quasi normalità”. Quello che consideravamo normale prima, credo che non tornerà molto presto. Da europeista convinto mi dispiace non vedere una coesione di scelte fra i paesi membri. Ognuno fa da se con aperture e chiusure a fisarmonica. Mi piacerebbe molto sapere se effettivamente i contagi aumentano tenendo aperti i ristoranti che lavorano a la carte, con tavoli distanziati e un numero ridotto di commensali. Ho molta paura che si sia fatta di tutta l’erba un fascio, mettendo sullo stesso piano discoteche e pub affollati e ristoranti di qualità dal servizio ineccepibile. Ho anche paura che non sia stata ascoltata la voce di ristoratori che hanno investito i loro soldi per mettersi in regola con normative restrittive e tuttavia sono stati costretti a chiudere come gli altri. Attenzione, lungi da me dall’essere populista, ma mi sarebbero molto più graditi degli stati di emergenza (o DPCM, come sono chiamati in Italia) molto meno confusi.
In che modo le istituzioni possono aiutare la ripresa? Come ho riportato prima con delle scelte più analitiche e meno confuse. Non credo che la ripresa sia nel singolo aiuto, ma in una politica globale di risanamento e ricrescita. Aiutare un ristoratore a scapito di un’altra azienda o altro settore economico conta molto poco alla ripresa del paese. Serve una gran bella iniezione e non solo di vaccino ma di ottimismo e di aiuti solidali per ogni azienda. Una politica costruttiva per l’ingresso dei giovani nelle aziende, sgravi fiscali che consentano alle attività di sopravvivere e invoglino a investire. Insomma, tutto quello che molti chiedono e non viene mai fatto.
Quando si parla di talenti in fuga si pensa sempre agli scienziati, ai ricercatori che trovano in altre nazioni la possibilità di esprimere al meglio il loro sapere. Una categoria poco citata è quella dei cuochi, spesso nomadi più per scelta che per necessità, che hanno colto una opportunità di lavoro e trovato in Paesi …
Quando si parla di talenti in fuga si pensa sempre agli scienziati, ai ricercatori che trovano in altre nazioni la possibilità di esprimere al meglio il loro sapere. Una categoria poco citata è quella dei cuochi, spesso nomadi più per scelta che per necessità, che hanno colto un’opportunità di lavoro e trovato in Paesi e …
In occasione dell’uscita del libro VASOCOTTURA- tecniche, consigli e ricette – abbiamo rivolto qualche domanda ai due autori – Stefano Masanti e Stefano Ciabarri – a cui abbiamo chiesto quali sono le caratteristiche più importanti di questa tecnica e quali idee li hanno motivati per la realizzazione di questo nuovo progetto editoriale.
Nella nostra intervista a Valerio Massimo Visintin, l’autore ci parla del suo nuovo libro e di quel campo minato che è l’attuale settore dell’ospitalità in Italia.
Reset – Franco Luise – Hilton Praga
È sotto gli occhi di tutti che il settore della ristorazione sia tra i più penalizzati dalle restrizioni anti Covid.
Distanziamento e isolamento dei tavoli e una infinita serie di accorgimenti necessari per il contenimento del contagio non sono bastati ad arginare il virus e così, a fasi alterne, assistiamo a parziali chiusure e repentine riaperture. In molti hanno preferito non sottoporsi a questo continuo up and down, scegliendo la chiusura totale anche per lunghi periodi. A chi ha scelto, invece, di tentare l’avventura dell’apertura è rimasta solo la possibilità di offrire un unico servizio: il takeaway che ogni operatore cerca di modulare tra delivery e asporto secondo le proprie preferenze, in base al territorio in cui opera e al target di riferimento a cui abitualmente si rivolge.
Questa particolare e inedita situazione, se da un lato sta mettendo in seria difficoltà una intera categoria professionale e lavorativa a livello mondiale, dall’altro sta anche offrendo l’insolita occasione di ripensare al modo di operare e ai servizi da offrire. Il risultato è che uno dei settori più mortificati da questa terribile pandemia è anche quello in maggiore fermento e che sta vivendo un momento di particolare innovazione.
Abbiamo pensato di aprire una rubrica di conversazioni con chef, aziende e altri operatori del settore per raccogliere i prodromi di questo importante momento di rinnovamento e trasformazione che, anche se non cercato e voluto, sta di fatto portando una serie di nuove idee e nuovi stili di organizzazione dell’intera linea produttiva, che modificheranno sostanzialmente il modo di rapportarsi con la clientela anche quando questo stato di emergenza finalmente cesserà.
Riassumi brevemente la linea temporale della tua esperienza di lavoro nel periodo di pandemia. Hai avuto chiusure, pause, riaperture, di nuovo chiusure? A che punto sei adesso?
Si è trattato di un momento inaspettato nella mia vita professionale e nel business dell’hotel in cui lavoro. A febbraio 2020 abbiamo festeggiato uno dei mesi più proficui a livello di revenue e GOP, nel corso di un team member party sono state confermate le ottime previsioni di business per i mesi a venire e solo un paio di settimane dopo, con ancora in bocca il gusto dello Champagne bevuto, ci siamo trovati a dover chiudere i battenti. Io sono uno chef che ha nel suo curriculum le aperture di 3 hotels e un interessante numero di start up di ristoranti o nuovi concetti, non sono certo avvezzo a chiusure. Come un colpo di mannaia siamo stati costretti a chiudere l’hotel il 16 Marzo 2020, incluse tutte le attività ristorative, SPA, Casino. In un batter d’occhio ci siamo trovati a fare i turni per la sorveglianza dello stabile. Quello che solo poche settimane prima conteneva centinaia di persone si è trasformato in un involucro di vetro e acciaio senza vita. Un incubo camminare per corridoi vuoti, freddi e illuminati solo dalle luci di emergenza.
Sono seguite settimane nevrotiche dove abbiamo preso decisioni impopolari, ma necessarie. Dei 75 cuochi del mio team ne sono rimaste in libro paga solo 35. Medesima situazione per tutti gli altri reparti dell’hotel. Abbiamo ridotto i nostri salari e grazie ad un’ottima situazione finanziaria siamo riusciti a passare il primo lockdown. Solo l’11 maggio è stata riaperta la ristorazione con una terrazza e l’hotel il 1 luglio. Abbiamo gestito l’hotel al 30 o forse 40% delle sue potenzialità. Delle 7 outlets ristorative, solo 4 sono state riaperte e convertite in altri concetti. Per esempio, nel ristorante gourmet, The Able Butcher, abbiamo firmato un contratto di esclusiva con la compagnia creatrice de Le Petit Chef, un concetto mediatico con video tridimensionali proiettati sui tavoli prima del servizio delle portate. Abbiamo piazzato un video proiettore su ogni tavolo ed abbiamo iniziato ad avere molte prenotazioni. Purtroppo a dicembre 2020 ci siamo trovati di nuovo in lockdown con la possibilità di fare ristorazione solo per i clienti in hotel. Clienti tassativamente business e qualche equipaggio di compagnie aeree ancora operanti su Praga. Al momento siamo ancora in lockdown e le previsioni più ottimistiche sono di poter riaprire ai passanti solo da metà maggio.
Come hai impiegato l’inaspettato periodo libero? Molti raccontano di uno strano torpore, di un’inabilità a focalizzare sulle cose che avrebbero sempre desiderato fare “se solo ci fosse il tempo”.
Andavo in hotel quasi tutti i giorni e non sono rimasto inattivo. Ho passato giornate a creare nuovi organigrammi e proiezioni basate su potenziali percentuali di occupazione futura. Non sono mai mancati i contatti personali con tutti i dipendenti a cui ho dovuto annunciare il termine del contratto e le conseguenti video chiamate per mantenere informati tutti gli altri. Ho dedicato il resto del tempo all’ascolto di musica e a leggere e studiare, soprattutto testi di filosofia. E’ stata una vacanza forzata che mi ha permesso di convergere le mie attenzioni su argomenti che mi hanno aiutato notevolmente a passare la crisi, aprendomi un universo di conoscenza infinito.
Lavorando per una compagnia internazionale, quanta libertà hai avuto per trovare soluzioni ad hoc per la tua location e il tuo team?
Come leader di un team così ampio sono riuscito a dare un mio personale contributo alla risoluzione dei problemi legati a questa crisi. Ho preso iniziative personali che sono state molto apprezzate sia dai miei colleghi, il mio staff ed il management. Non ho mai perso il contatto con la mia gente, nel bene e nel male sempre in contatto. Non c’è nulla di peggiore della mancanza di informazione in periodi di crisi. Questo non l’ho mai permesso ed ha rinforzato la mia leadership.
Quali strategie, se ce ne sono state, sono state implementate per rimanere in contatto con la clientela durante il periodo di chiusura dell’albergo?
Il reparto vendite si è attivato immediatamente sia a livello locale sia come corporate. Da subito abbiamo capito che dovevamo cambiare la nostra ricerca di potenziali clienti. Da compagnia con clientela internazionale ci siamo presto convertiti ad un turismo locale o che poteva raggiungere la nostra struttura in auto, dato che i voli latitavano costantemente in tutti i maggiori aeroporti. Nel corso dell’estate 2020 siamo diventati un hotel leisure, abbandonando totalmente la nostra concezione di business hub. Abbiamo aperto le porte a coppie in vacanza, famiglie intere occupavano le nostre stanze e utilizzavano gli spazi comuni. In F&B ci siamo tirati su le maniche e dal nulla abbiamo creato un nuovo outlet: una terrazza affacciata alla Vltava mai sfruttata prima è diventata un beer garden con prezzi popolari e dal successo immediato. L’offerta gastronomica è stata totalmente mutata per accontentare le aspettative di una nuova tipologia di clientela ed i prezzi ridimensionati. Il linguaggio marketing e le frasi chiave di promozione hanno assunto una dimensione specifica per assicurarci una nuova fascia di mercato. Questi cambi hanno preso in considerazione anche i motori di ricerca web, incanalando ad hoc i corretti messaggi di vendita.
Come sei arrivato al tuo menu di take-away? Quali fattori, oltre a quelli puramente pratici, sono stati decisivi nel decidere quali piatti fossero buoni candidati?
Ci sono arrivato come una naturale conseguenza della situazione e come progetto per mantenere alto l’engagement del mio team. Mi spiego meglio: non c’è nulla di peggio di un team inattivo per vederne crescere sconcerto e panico. Bisogna trovare degli input e delle idee che mantengano alto il loro impegno operativo e mentale. Ho creato per i sous chef dei percorsi di training su gestione dei costi, utilizzo di un nuovo software per la gestione delle schede tecniche delle ricette, corsi di leadership e abbiamo partecipato con successo ai concorsi di cucina che la compagnia ha ideato nel frattempo. Dopo pochi mesi è nato quindi il progetto Taste of Hilton Prage at Home con un’offerta orientata al gusto del pubblico locale e non solo, abbiamo parecchi espatriati fra i nostri clienti. Ne sono stato un accanito difensore, nonostante il management non vedesse di buon occhio il ritorno dell’investimento. Abbiamo fatto delle ricerche ed abbiamo capito subito che dovevamo creare un’offerta orientata alla qualità e alla esclusività: facciamo quello che gli altri non fanno, proponiamo un prodotto di alta qualità a prezzi interessanti e con un packaging accattivante. Offriamo alla clientela piatti precotti e diamo loro tutto quello che serve per terminare a casa un prodotto con la stessa qualità dei nostri ristoranti. Ogni piatto ha una ricetta/indicazioni per come rigenerare il prodotto a casa e le foto danno un suggerimento di presentazione.
Abbiamo creato un sito web dedicato da cui si possono fare gli ordini on line:
http://www.tasteofhiltonprague.cz/en/home-english/
Abbiamo un’offerta di base che viene incrementata da offerte stagionali. E’ stata recentemente creata quella per San Valentino con pacchetto di cibo e una carta di vini da abbinare dal prezzo molto accattivante. Sto attualmente lavorando a quella per Pasqua, seguirà quella tutta dedicata a un ingrediente molto apprezzato in Repubblica Ceca, gli asparagi.
In che modo l’esperienza della pandemia ha cambiato il tuo operato in cucina?
In forma radicale!
Mai mi sarei atteso una simile situazione, ma ho sempre in mente che un buon capo deve sempre sentirsi a suo agio anche nelle situazioni sconfortanti. Ho trovato dei motivi positivi in questa pandemia che mi hanno aiutato a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto. Il ridimensionamento della brigata mi ha consentito di rafforzare maggiormente i contatti umani e professionali con tutti i componenti. Se prima c’era un team altamente performante, ora il team è una famiglia altamente performante e agguerrita a trovare soluzioni per uscire dal tunnel. Ho sempre avuto uno stile di leadership che mi imponeva la condivisione di scelte nell’offerta gastronomica. Ho sempre detto che attorno a me non ho solo bisogno di braccia, ma di cervelli operativi. Certo, quando faccio una scelta devo prendere una precisa decisione, ma non mi permetto mai di farla senza aver prima sentito pro attivamente i suggerimenti e le idee dei miei ragazzi. Questo li aiuta a crescere ed il menu lo sentono molto più “loro”.
In questa pandemia ho rinforzato questa mia linea guida ed ho voluto che il prodotto assumesse un connotato di tipicità tradizionale ceca ma ricercato nella presentazione. Meno importazione di prodotti dall’estero e una maggiore visibilità a quella locale con una scelta mirata di produttori del paese. La maggiore presenza di una clientela locale mi ha facilmente dirottato verso un’offerta di quel tipo. Se vuoi avere successo fa quello che al pubblico piace, proponendo anche qualcosa che possa stuzzicare la loro attenzione e talvolta accompagnalo verso l’inatteso.
A lungo termine, che tipi di cambiamenti pensi che questo periodo porterà al settore dell’ospitalità?
Le proiezioni dei specialisti nel settore prevedono un ritorno ai regimi del 2019 non prima del 2025/26. Questo può variare dall’andamento della pandemia, dai risultati delle vaccinazioni di massa e dalle scelte dei vari governi. Ripetendo il mio precedente concetto di bicchiere mezzo pieno, credo che vi sarà come positiva conseguenza un radicale RESET del concetto di ristorazione e ospitalità. Vincerà la qualità servita a prezzi onesti, privata di fronzoli non necessari. Si darà maggior attenzione alla buona tavola e al servizio senza per forza richiedere un mutuo in banca. Gli chef faranno un bel bagno di umiltà e serviranno molto più quel che piace ai loro clienti e meno quello che segue solo le loro egocentriche scelte. Avremo finalmente una generazione di chef molto più consapevole delle vere necessità della clientela e quest’ultima sarà sempre meno incline ad accettare il divismo culinario.
Negli hotels vedo meno problemi per la fascia resort e boutique. Diversa situazione per la fascia congressuale dove la ripresa è legata solo da una ripresa dei trasporti di massa. Prevedo anche che molte aziende decideranno di fare maggiormente congressi e riunioni on line, sfruttando tutte le attuali e future tecnologie. Già ora ne stiamo apprezzando i benefici e non solo come prevenzione pandemica, ma per la libertà che ci consente, come home working, meno viaggi dai conseguenti disagi che gli spostamenti creano. Tuttavia, l’uomo necessita di contatto umano e non possiamo vivere senza il calore di un abbraccio. Dovremo abituarci a convivere per diversi anni con nuove abitudini di vita. Quello che ora ci sembra strano diverrà normale abitudine in futuro. Le brigate di cucina e sala saranno ridimensionate e questo creerà disagi e perdita di posti di lavoro. Sopravvivranno a questa cernita soltanto i più validi operatori. Suggerisco ai giovani di prepararsi sempre un piano B e di cercare delle idee alternative per convertire in tempi brevi le loro fonti di reddito. Chi ha delle idee o dei talenti li sfrutti al meglio.
In Italia, la stampa del settore è piena di consigli contrastanti per il governo affinché intervenga a favore del settore della ristorazione. Lavorando a Praga, godi di un duplice punto di vista: hai potuto seguire gli eventi e le loro conseguenze per questo comparto sia in Italia, sia in Repubblica Ceca.
Vivendo all’estero da parecchi anni confesso di vedere con simpatica curiosità la situazione italiana, dove ha sempre ragione chi grida più forte. Non voglio entrare nei meriti politici, ma le scelte dei nostri governi sono sempre più imbarazzanti agli occhi di chi vive all’estero. Mi chiedo come riusciamo a sopravvivere ed essere sempre uno stato di diritto…
La stampa di settore ha sempre dettato legge sulle scelte di intere generazioni di cuochi. Continuerà a farlo oppure le nuove leve si faranno più determinate a non dare loro retta? Come detto prima, mi auguro che le nuove generazioni scendano molto meno a patti con guide e stampa, favorendo una dimensione umana dell’offerta gastronomica a discapito di un clientelismo che vedo sempre meno sufficiente per la sopravvivenza dei ristoranti. Una stampa di settore che promulga consigli per uscire dalla pandemia assomiglia molto alle discussioni di bar del lunedì dopo partita dove tutti sono sportivi e super esperti di calcio – senza averlo mai giocato a livello agonistico. Credo che un sano silenzio da parte di molti inesperti sia una benedizione divina per ogni attività. Al momento sono certo che le uniche autorità che possono avere voce sono quelle medico sanitarie, anche se anche qui la veridicità è molto opinabile. Confesso che a dispetto di una confusa situazione politica nel mio paese non vedo molto di meglio da parte di altri paesi europei. Siamo tutti molto incerti su cosa fare per diminuire i contagi e tornare a una “quasi normalità”. Quello che consideravamo normale prima, credo che non tornerà molto presto. Da europeista convinto mi dispiace non vedere una coesione di scelte fra i paesi membri. Ognuno fa da se con aperture e chiusure a fisarmonica. Mi piacerebbe molto sapere se effettivamente i contagi aumentano tenendo aperti i ristoranti che lavorano a la carte, con tavoli distanziati e un numero ridotto di commensali. Ho molta paura che si sia fatta di tutta l’erba un fascio, mettendo sullo stesso piano discoteche e pub affollati e ristoranti di qualità dal servizio ineccepibile. Ho anche paura che non sia stata ascoltata la voce di ristoratori che hanno investito i loro soldi per mettersi in regola con normative restrittive e tuttavia sono stati costretti a chiudere come gli altri. Attenzione, lungi da me dall’essere populista, ma mi sarebbero molto più graditi degli stati di emergenza (o DPCM, come sono chiamati in Italia) molto meno confusi.
In che modo le istituzioni possono aiutare la ripresa?
Come ho riportato prima con delle scelte più analitiche e meno confuse. Non credo che la ripresa sia nel singolo aiuto, ma in una politica globale di risanamento e ricrescita. Aiutare un ristoratore a scapito di un’altra azienda o altro settore economico conta molto poco alla ripresa del paese. Serve una gran bella iniezione e non solo di vaccino ma di ottimismo e di aiuti solidali per ogni azienda. Una politica costruttiva per l’ingresso dei giovani nelle aziende, sgravi fiscali che consentano alle attività di sopravvivere e invoglino a investire. Insomma, tutto quello che molti chiedono e non viene mai fatto.
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