Quando si parla di talenti in fuga si pensa sempre agli scienziati, ai ricercatori che trovano in altre nazioni la possibilità di esprimere al meglio il loro sapere.
Una categoria poco citata è quella dei cuochi, spesso nomadi più per scelta che per necessità, che hanno colto un’opportunità di lavoro e trovato in Paesi e culture lontane dall’Italia una seconda casa e un luogo dove crescere e sperimentare, dove offrire la propria creatività e dove raccogliere il valore di altre tradizioni culinarie.
Ne abbiamo intervistati alcuni perché ci raccontino la loro esperienza e anche per approfondire come viene recepita la tradizione culinaria italiana in altre parti del mondo, al di là della banale retorica fatta di pizze e spaghetti al pomodoro.
Posizione attuale (incarico / nome ristorante / albergo / città )
Chef di cucina, La Scala Restaurant del Sukhothai Hotel Bangkok *****
David Tamburini
Da quanto tempo lavora all’estero? Le trasferte sono sempre state nei suoi programmi?
Sono all’estero da oramai quasi cinque anni, da tre anni e mezzo a Bangkok come chef a La Scala. Prima della Thailandia una breve parentesi di un anno ad Hong Kong. Fin dall’adolescenza sono sempre stato affascinato dall’Oriente, ne ho studiato a lungo usi e costumi, ho viaggiato molto attraverso tutto il continente, più in generale mi è sempre piaciuto viaggiare.
Come si svolge una sua giornata tipo al Sukhothai?
La Scala é un ristorante che lavora con una discreta autonomia, nonostante il fatto che si trovi all’interno di un hotel. La giornata inizia sempre con il “morning briefing” alle 10 del mattino con il culinary team. Prima della riunione affronto un po’ di lavoro di ufficio: controllo delle mail, compilazione menù, controllo del food cost giornaliero… Dopo l’incontro, finalmente la cucina: controllo e ordini per il giorno successivo e per l’import settimanale. Servizio del pranzo, dopo di che pausa pranzo insieme al mio staff e di nuovo in cucina per il servizio della cena. Contrariamente all’Italia, il servizio serale in Asia comincia presto: alle 18:00 il ristorante apre, l’ultimo ordine è alle 22:00. Check prima della chiusura. Per cinque giorni alla settimana (ho due giorni di riposo settimanali) arrivo in Hotel alle 9:30 del mattino e ne esco alle 22:30.
La Scala Restaurant del Sukhothai Hotel Bangkok
Rispetto alle esperienze in patria, com’è cambiato il suo modo di fare la spesa e raccogliere le materie prime essenziali alla sua cucina?
È cambiato drasticamente e non potrebbe essere altrimenti. Il mercato: questa confesso essere la cosa che più mi manca dell’Italia. Per tanto tempo mi sono alzato la mattina per andare a fare la spesa al mercato prima di entrare in cucina. Quella parte della giornata mi manca moltissimo: il contatto con i venditori, la vista delle materie prime ed il loro susseguirsi in base alle stagioni. È una fonte di ispirazione unica ed essenziale per un cuoco. La maggior parte delle materie prime che uso in cucina arriva dall’Italia o dall’Europa, troppo diverso il clima tailandese. Fortunatamente ho dei fornitori molto motivati ed esperti che riescono a farmi avere dei prodotti bellissimi, anche da piccoli produttori.
In che modo la sua creatività è stata influenzata dal nuovo contesto?
Lavorare all’estero per me è stato un modo, anche una necessità per certi versi, per ripensare alla mia cucina in generale. Mi sono sempre considerato un cuoco molto italiano nella sua essenza e nel suo modo di cucinare. Ho sempre lavorato con gli ingredienti “umili” della nostra cultura gastronomica. All’estero però tutto si é accentuato: la ricerca si è spostata tantissimo verso una italianità “assoluta”. Diciamo che la lontananza ha aiutato, guardare all’Italia da così lontano mi ha dato la possibilità di vedere il disegno completo. Ho sempre cucinato, e sempre lo farò, in una maniera molto personale. Ho una mia ben precisa idea di cucina, la creatività per me è una cosa piccola che fa una gran differenza come la corretta punteggiatura: le parole sono le stesse, ma la comprensione cambia.
“Gnudi” di ricotta ovina, consommé di prosciutto e castagne, tartufo nero di Norcia
Come nasce un nuovo piatto nella sua cucina? Quanto tempo passa mediamente tra la scintilla e l’approdo in menu?
Io sono istintivo e la mia cucina lo è di conseguenza. Non credo nella perfezione, anzi, mi annoia molto la standardizzazione. La cucina deve mantenere un’imperfezione naturale. Un piatto può nascere in un minuto oppure sedimentare prima di trovare la sua naturale compiutezza. Il più delle volte la stagione è la scintilla. In Italia poteva nascere la sera ed il giorno dopo essere nel menù; qui è un po’ diverso: ci sono da trovare i fornitori, fare le foto, il marketing, la promozione, le ricette, i costi…… Per certi versi è un processo un po’ lungo e noioso, ma dal quale ho imparato moltissimo.
“Pasta al forno”
Dato che il cambio delle stagioni non è così evidente a Bangkok, quali sono i criteri che guidano i cambiamenti in menu?
Io seguo la stagionalità italiana, quindi il mio menu cambia in primavera, autunno ed inverno. Il modo più naturale per offrire i sapori al massimo del loro gusto, al contempo per essere il più rispettoso possibile verso i miei clienti.
Abbacchio laziale e vignarola di verdure primaverili
Trova che i clienti all’estero hanno aspettative particolari riguardo alla cucina italiana? Ci sono luoghi comuni da combattere?
Cucinare alla fine non è mai semplice, in Italia ci sono certe aspettative all’estero altre. Luoghi comuni sempre. Logicamente proporre una cucina italiana all’estero che esca dai soliti schemi della carbonara e caprese (nelle migliore delle ipotesi) è sempre complicato, primo per la bontà di tali preparazioni secondo perché pochi hanno provato a proporre qualcosa diciamo di più “attuale”. Parlando dell’Asia ci sono logicamente mercati diversissimi, più o meno evoluti. In Thailandia si mangia italiano generalmente molto bene e questa è già una buona base.
Un piatto di cui è particolarmente soddisfatto?
Maccheroncini al ferretto al sugo di maiale, semi e fiori di finocchio. Un lavoro su una preparazione tradizionalissima alla quale credo di aver dato il mio pensiero. Una ricetta che per quanto mi riguarda poteva nascere solamente fuori dall’Italia.
Un piatto locale che lo ha rapito?
Frittata tailandese di ostriche, buonissima!
Anatra da serbo: Zucca gialla cruda e cotta, spinaci Rossi, petto d’anatra stagionato, acidulato di melograno
Cosa lo ha colpito maggiormente nelle abitudini alimentari della gente nella sua città adottiva?
Logicamente, le differenze sono enormi. Una cosa che mi fa sempre piacere notare durante i pasti è la convivialità con la quale intendono il cibo. Va oltre lo sharing secondo me, c’è sempre qualcuno che infila il cucchiaio nella tua zuppa.
Quando viene a trovarla qualcuno che non conosce Bangkok, cosa consiglia di vedere visto che adesso può vantarsi di un ruolo di “insider”?
Secondo me, la parte immancabile più bella e anche romantica è una gita sul Chao Phraya, il fiume di Bangkok. Salite su un battello ad uno dei tanti moli – non quello per turisti però – ma uno dei tantissimi in servizio navetta. Scendete a Chinatown oppure al mercato dei fiori, fatevi una passeggiata perdendovi nel caldo asfissiante, oppure continuate sul fiume per una buona mezz’ora di navigazione tra giacinti d’acqua fino a Ko Kret, l’isola della terracotta.
Adesso gode di una diversa prospettiva verso la scena gastronomica italiana. Come la vede?
Sono toscano quindi ho una vena polemica innata dentro di me. Credo che tutt’ora guardiamo troppo a ciò che fanno gli altri invece di concentrarci sul nostro essere. È una caratteristica nazionale però, tendiamo a sottovalutarci. W l’Italia sempre!
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Il nostro uomo a Bangkok
Quando si parla di talenti in fuga si pensa sempre agli scienziati, ai ricercatori che trovano in altre nazioni la possibilità di esprimere al meglio il loro sapere.
Una categoria poco citata è quella dei cuochi, spesso nomadi più per scelta che per necessità, che hanno colto un’opportunità di lavoro e trovato in Paesi e culture lontane dall’Italia una seconda casa e un luogo dove crescere e sperimentare, dove offrire la propria creatività e dove raccogliere il valore di altre tradizioni culinarie.
Ne abbiamo intervistati alcuni perché ci raccontino la loro esperienza e anche per approfondire come viene recepita la tradizione culinaria italiana in altre parti del mondo, al di là della banale retorica fatta di pizze e spaghetti al pomodoro.
Posizione attuale (incarico / nome ristorante / albergo / città )
Chef di cucina, La Scala Restaurant del Sukhothai Hotel Bangkok *****
David Tamburini
Da quanto tempo lavora all’estero? Le trasferte sono sempre state nei suoi programmi?
Sono all’estero da oramai quasi cinque anni, da tre anni e mezzo a Bangkok come chef a La Scala. Prima della Thailandia una breve parentesi di un anno ad Hong Kong. Fin dall’adolescenza sono sempre stato affascinato dall’Oriente, ne ho studiato a lungo usi e costumi, ho viaggiato molto attraverso tutto il continente, più in generale mi è sempre piaciuto viaggiare.
Come si svolge una sua giornata tipo al Sukhothai?
La Scala é un ristorante che lavora con una discreta autonomia, nonostante il fatto che si trovi all’interno di un hotel. La giornata inizia sempre con il “morning briefing” alle 10 del mattino con il culinary team. Prima della riunione affronto un po’ di lavoro di ufficio: controllo delle mail, compilazione menù, controllo del food cost giornaliero… Dopo l’incontro, finalmente la cucina: controllo e ordini per il giorno successivo e per l’import settimanale. Servizio del pranzo, dopo di che pausa pranzo insieme al mio staff e di nuovo in cucina per il servizio della cena. Contrariamente all’Italia, il servizio serale in Asia comincia presto: alle 18:00 il ristorante apre, l’ultimo ordine è alle 22:00. Check prima della chiusura. Per cinque giorni alla settimana (ho due giorni di riposo settimanali) arrivo in Hotel alle 9:30 del mattino e ne esco alle 22:30.
La Scala Restaurant del Sukhothai Hotel Bangkok
Rispetto alle esperienze in patria, com’è cambiato il suo modo di fare la spesa e raccogliere le materie prime essenziali alla sua cucina?
È cambiato drasticamente e non potrebbe essere altrimenti. Il mercato: questa confesso essere la cosa che più mi manca dell’Italia. Per tanto tempo mi sono alzato la mattina per andare a fare la spesa al mercato prima di entrare in cucina. Quella parte della giornata mi manca moltissimo: il contatto con i venditori, la vista delle materie prime ed il loro susseguirsi in base alle stagioni. È una fonte di ispirazione unica ed essenziale per un cuoco. La maggior parte delle materie prime che uso in cucina arriva dall’Italia o dall’Europa, troppo diverso il clima tailandese. Fortunatamente ho dei fornitori molto motivati ed esperti che riescono a farmi avere dei prodotti bellissimi, anche da piccoli produttori.
In che modo la sua creatività è stata influenzata dal nuovo contesto?
Lavorare all’estero per me è stato un modo, anche una necessità per certi versi, per ripensare alla mia cucina in generale. Mi sono sempre considerato un cuoco molto italiano nella sua essenza e nel suo modo di cucinare. Ho sempre lavorato con gli ingredienti “umili” della nostra cultura gastronomica. All’estero però tutto si é accentuato: la ricerca si è spostata tantissimo verso una italianità “assoluta”. Diciamo che la lontananza ha aiutato, guardare all’Italia da così lontano mi ha dato la possibilità di vedere il disegno completo. Ho sempre cucinato, e sempre lo farò, in una maniera molto personale. Ho una mia ben precisa idea di cucina, la creatività per me è una cosa piccola che fa una gran differenza come la corretta punteggiatura: le parole sono le stesse, ma la comprensione cambia.
“Gnudi” di ricotta ovina, consommé di prosciutto e castagne, tartufo nero di Norcia
Come nasce un nuovo piatto nella sua cucina? Quanto tempo passa mediamente tra la scintilla e l’approdo in menu?
Io sono istintivo e la mia cucina lo è di conseguenza. Non credo nella perfezione, anzi, mi annoia molto la standardizzazione. La cucina deve mantenere un’imperfezione naturale. Un piatto può nascere in un minuto oppure sedimentare prima di trovare la sua naturale compiutezza. Il più delle volte la stagione è la scintilla. In Italia poteva nascere la sera ed il giorno dopo essere nel menù; qui è un po’ diverso: ci sono da trovare i fornitori, fare le foto, il marketing, la promozione, le ricette, i costi…… Per certi versi è un processo un po’ lungo e noioso, ma dal quale ho imparato moltissimo.
“Pasta al forno”
Dato che il cambio delle stagioni non è così evidente a Bangkok, quali sono i criteri che guidano i cambiamenti in menu?
Io seguo la stagionalità italiana, quindi il mio menu cambia in primavera, autunno ed inverno. Il modo più naturale per offrire i sapori al massimo del loro gusto, al contempo per essere il più rispettoso possibile verso i miei clienti.
Abbacchio laziale e vignarola di verdure primaverili
Trova che i clienti all’estero hanno aspettative particolari riguardo alla cucina italiana? Ci sono luoghi comuni da combattere?
Cucinare alla fine non è mai semplice, in Italia ci sono certe aspettative all’estero altre. Luoghi comuni sempre. Logicamente proporre una cucina italiana all’estero che esca dai soliti schemi della carbonara e caprese (nelle migliore delle ipotesi) è sempre complicato, primo per la bontà di tali preparazioni secondo perché pochi hanno provato a proporre qualcosa diciamo di più “attuale”. Parlando dell’Asia ci sono logicamente mercati diversissimi, più o meno evoluti. In Thailandia si mangia italiano generalmente molto bene e questa è già una buona base.
Un piatto di cui è particolarmente soddisfatto?
Maccheroncini al ferretto al sugo di maiale, semi e fiori di finocchio. Un lavoro su una preparazione tradizionalissima alla quale credo di aver dato il mio pensiero. Una ricetta che per quanto mi riguarda poteva nascere solamente fuori dall’Italia.
Un piatto locale che lo ha rapito?
Frittata tailandese di ostriche, buonissima!
Anatra da serbo: Zucca gialla cruda e cotta, spinaci Rossi, petto d’anatra stagionato, acidulato di melograno
Cosa lo ha colpito maggiormente nelle abitudini alimentari della gente nella sua città adottiva?
Logicamente, le differenze sono enormi. Una cosa che mi fa sempre piacere notare durante i pasti è la convivialità con la quale intendono il cibo. Va oltre lo sharing secondo me, c’è sempre qualcuno che infila il cucchiaio nella tua zuppa.
Quando viene a trovarla qualcuno che non conosce Bangkok, cosa consiglia di vedere visto che adesso può vantarsi di un ruolo di “insider”?
Secondo me, la parte immancabile più bella e anche romantica è una gita sul Chao Phraya, il fiume di Bangkok. Salite su un battello ad uno dei tanti moli – non quello per turisti però – ma uno dei tantissimi in servizio navetta. Scendete a Chinatown oppure al mercato dei fiori, fatevi una passeggiata perdendovi nel caldo asfissiante, oppure continuate sul fiume per una buona mezz’ora di navigazione tra giacinti d’acqua fino a Ko Kret, l’isola della terracotta.
Adesso gode di una diversa prospettiva verso la scena gastronomica italiana. Come la vede?
Sono toscano quindi ho una vena polemica innata dentro di me. Credo che tutt’ora guardiamo troppo a ciò che fanno gli altri invece di concentrarci sul nostro essere. È una caratteristica nazionale però, tendiamo a sottovalutarci. W l’Italia sempre!
Coda di tonno brasata gentilmente. “Caponata”
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