È sotto gli occhi di tutti che il settore della ristorazione sia tra i più penalizzati dalle restrizioni anti Covid.
Distanziamento ed isolamento dei tavoli e una infinita serie di accorgimenti necessari per il contenimento del contagio non sono bastati per arginare il virus e così, a fasi alternate, assistiamo a parziali chiusure e repentine riaperture. In molti hanno preferito non sottoporsi a questo continuo up and down, scegliendo la chiusura totale anche per lunghi periodi. Per chi ha scelto, invece, di tentare l’avventura dell’apertura è rimasta solo la possibilità di offrire un unico servizio: il takeaway che ogni operatore cerca di modulare tra delivery e asporto secondo le proprie preferenze, in base al territorio in cui opera e al target di riferimento a cui abitualmente si rivolge.
Questa particolare e inedita situazione, se da un lato sta mettendo in seria difficoltà una intera categoria professionale e lavorativa a livello mondiale, dall’altro sta anche offrendo l’insolita occasione di ripensare al modo in cui operare e ai servizi da offrire. Il risultato è che uno dei settori più mortificati da questa terribile pandemia, è anche quello in maggiore fermento, che sta vivendo un momento di particolare innovazione.
Abbiamo pensato di aprire una rubrica di conversazioni con chef, aziende ed altri operatori del settore per raccogliere i prodromi di questo importante momento di rinnovamento e trasformazione, che, anche se non cercato e voluto, sta di fatto portando una serie di nuove idee e nuovi stili di organizzazione dell’intera linea produttiva, che modificheranno sostanzialmente il modo di rapportarsi con la clientela anche quando questo stato di emergenza finalmente cesserà. Il primo intervistato è stato Davide Oldani del Ristorante D’O di Cornaredo (MI).
Per molti versi la pandemia ha agito come uno strano esperimento sociale. Ha offerto a ciascuno di noi del tempo libero dai soliti impegni in cui realizzare delle cose non pianificate. Come ha usato questo tempo? Prima di tutto bisogna dire che è una cosa che è accaduta dall’oggi al domani. Noi abbiamo chiuso il ristorante sabato sera per il weekend, e abbiamo riaperto dopo 90 gg.Tutto è diventato imprevedibile: dall’agenda piena con mille richieste e appuntamenti e viaggi al nulla, e mi vien da dire che se da una parte mi dispiace per le persone che ci sono passate e per quelli che hanno perso qualcuno, dall’altra parte, secondo me il buon Dio ci ha dato un segnale per dire che siamo solo affittuari del mondo e un monito per le persone che pensano solo a correre. Per me è stato un momento di blocco e di riflessione, anziché andare a mille all’ora ho viaggiato ad uno all’ora. E devo dire che i mesi passati a ragionare con un andamento lento sono stati cento volte meglio, la lentezza porta a frutti migliori. Il famoso detto lavorare in maniera corretta – lavorare poco, ma bene è una cosa molto valida da riprendere e portare avanti.
È stato fatto un totale reset. Secondo me la gente si lamenta che non ha più la vita sociale, non ha più le uscite con gli amici. È stata ricostruita, invece, la radice della vita sociale, cioè quella vita sociale che mancava a tutti di cui non ci accorgevamo, che è quella della famiglia. La vita sociale nasce prima tra le quattro mura della casa e da lì poi parte la vita che viviamo fuori.
Se non sbaglio, lei ha scelto di non implementare un servizio di “delivery”. Immagino che fosse un “no” molto ponderato. Perché ha sentito che non era la cosa giusta per il D’O.? Non l’ho fatto, perché non è il mio mestiere. Il mio mestiere è l’ospitalità, accogliere le persone nella nostra casa e dare un servizio, un occhio di riguardo con amore e con la voglia di ospitare le persone tra le quattro mura.
Attualmente, sotto questo aspetto, c’è solo il PanD’O, il lievitato che abbiamo iniziato a produrre e di cui siamo molto felici. Nel nostro progetto futuro c’è un laboratorio, sempre nella piazzetta, una realtà che deve andare a completare il servizio del D’O, ma non vorrei fare il passo più lungo della gamba.
Mi sembra affermare l’idea che l’esperienza di D’O non è semplicemente il cibo. È un insieme di cose, d’accoglienza, di esperienza sensoriale.
Il mondo del D’O è una realtà nella quale offriamo un servizio che ci permette di relazionarci con le persone e di crescere perché le persone ci parlano, abbiamo uno scambio.
Quali strategie, se ce ne sono state, ha implementato per rimanere in contatto con la sua clientela durante il periodo di chiusura del ristorante?
Nessuna strategia. Ho chiuso perché io lavoro nel commercio ed è il cliente che riprende a tornare se lo ritiene opportuno, se ne ha voglia. Nessun marketing, nessuna seduta a pensare: il mio lavoro è aprire un ristorante alla mattina e chiuderlo alla sera. Non è stato possibile per molto tempo a causa di un evento bruttissimo, adesso abbiamo appena riaperto e le strategie ripartono da sole senza troppi pensieri perché se offri qualità la gente si ricorda di te e non vede l’ora di ritornare.
C’è la voglia di tornare e altrettanta voglia di sicurezza, le persone hanno voglia di stare tranquille e di mangiare bene. Fare dei programmi?…lasciamoli fare ai manager. Io faccio il cuoco. È una cosa che bisogna fare con il cuore e soprattutto guardando in faccia le persone.
Per molti chef-proprietari la gestione del personale in questo frangente è stata particolarmente complicata, a volte anche dolorosa. Con il suo team come avete affrontato il periodo di chiusura?
L’abbiamo affrontato reintegrando la cassa integrazione al 100% a tutti. L’abbiamo anticipata totalmente a tutti e abbiamo assunto due persone. Non credo che una pandemia in 6-7 mesi possa annientare i miei sogni e la voglia di fare il mio mestiere.
È stato sorprendente quante attività, apparentemente solide, realtà storiche hanno gridato subito al disastro.
Ogni situazione è diversa e ognuno ha un punto di vista personale. Per me è stato un disastro principalmente a livello umano per tutte le persone che sono state male. Del resto la pandemia spagnola di 100 anni fa ha fatto più morti. La pandemia è entrata nella nostra vita e abbiamo dovuto accettarla.
A lungo termine, che tipi di cambiamenti pensa che questo periodo porterà al settore della ristorazione?
Ci sarà una selezione e andremo sempre più verso la qualità che traccerà la strada per avere anche relazioni migliori, anche cibo migliore.
La stampa del settore è piena di consigli contrastanti per il governo affinché intervenga a favore del settore della ristorazione. Quale dovrebbe essere il ruolo del governo nella ripresa?
Questa è una domandona anche perché il governo è nuovo. Non spetta a me rispondere perché non sono un politico – La cosa che mi fa paura per l’Italia è questo senso di mancanza di continuità. Oltre al problema dei contagi, dobbiamo avere anche problemi politici? No! A me piace il mio paese altrimenti restavo all’estero. Ma ho deciso di rientrare e di restare, per questo accetto quello che mi propongono i miei governanti.
L’Italia è notoriamente il paese che “sa arrangiarsi” sempre e comunque; c’è da sperare che questa qualità prevalga e aiuti a rimettere in sesto le cose.
Assolutamente sì. Sotto alcuni profili l’Italia ha reagito meglio della Germania, meglio dell’Inghilterra, sotto altri aspetti, invece, no. Adesso si tratta di riprendere rispettando il prossimo nella consapevolezza che nessuno da solo può cambiare il mondo, ma che solo dando il nostro piccolo contributo e rispettando il prossimo avremo sicuramente un approccio alla vita diverso.
Per concludere, in Bibliotheca chiediamo a tutti gli intervistati cosa stanno leggendo.
Sto leggendo DŌ, un libro tradotto dal giapponese che, in un certo senso, riguarda la ricerca della felicità. Mi incuriosiva perché esamina anche come i samurai, che hanno avuto a che fare con la violenza, con la guerra, abbiano preso spunto e trasformato il DŌ in un modo di vivere. È una filosofia di vita che mi piace molto e non è un caso che il mio ristorante si chiama D’O. Ho un po’ di libri simili, ma vado a spizzichi e bocconi. Ho inoltre sul mio comodino la Bibbia che mi accompagna sempre.
Quando hai pensato di aprire un tuo blog e perché? Ho aperto il mio blog di cucina e racconti alla fine del 2008, quasi per caso, grazie ad un’amica che mi ha mandato un link che bastava seguire per realizzare una pagina web (per me che, difficile a credersi, non sono affatto pratica con queste …
Verde Camilla Parmigiani è una Vegan Luxury Specialist italiana. Fondatrice e proprietaria di Vegan Set, il primo sito web sull’alta cucina vegetale. Con 18 anni di esperienza nel settore alberghiero, è una consulente di ospitalità che supporta hotel e gruppi alberghieri nella progettazione di servizi dedicati alle nuove sensibilità etiche, ambientali e salutistiche dei clienti. …
Elisa Pozzi, 31 anni, dopo gli studi di Agraria alla Statale di Milano e quelli all’American School of Milan, decide di prendere in mano l’azienda agricola di famiglia: un allevamento di Frisone a Zibido San Giacomo, alle porte di Milano.
I libri possono essere uno specchio della personalità? Lo scatto dello scaffale vale come selfie? Allora vi presentiamo lo shelfie: la rubrica che offre un (auto)ritratto attraverso la propria biblioteca. Oggi lo “scatto” è dedicato a Leonardo Di Carlo, maestro pasticciere pluripremiato, docente, autore e personaggio televisivo. In moto praticamente perpetuo la sua attività di …
Reset – Davide Oldani – Ristorante D’O, Cornaredo (MI)
È sotto gli occhi di tutti che il settore della ristorazione sia tra i più penalizzati dalle restrizioni anti Covid.
Distanziamento ed isolamento dei tavoli e una infinita serie di accorgimenti necessari per il contenimento del contagio non sono bastati per arginare il virus e così, a fasi alternate, assistiamo a parziali chiusure e repentine riaperture. In molti hanno preferito non sottoporsi a questo continuo up and down, scegliendo la chiusura totale anche per lunghi periodi. Per chi ha scelto, invece, di tentare l’avventura dell’apertura è rimasta solo la possibilità di offrire un unico servizio: il takeaway che ogni operatore cerca di modulare tra delivery e asporto secondo le proprie preferenze, in base al territorio in cui opera e al target di riferimento a cui abitualmente si rivolge.
Questa particolare e inedita situazione, se da un lato sta mettendo in seria difficoltà una intera categoria professionale e lavorativa a livello mondiale, dall’altro sta anche offrendo l’insolita occasione di ripensare al modo in cui operare e ai servizi da offrire. Il risultato è che uno dei settori più mortificati da questa terribile pandemia, è anche quello in maggiore fermento, che sta vivendo un momento di particolare innovazione.
Abbiamo pensato di aprire una rubrica di conversazioni con chef, aziende ed altri operatori del settore per raccogliere i prodromi di questo importante momento di rinnovamento e trasformazione, che, anche se non cercato e voluto, sta di fatto portando una serie di nuove idee e nuovi stili di organizzazione dell’intera linea produttiva, che modificheranno sostanzialmente il modo di rapportarsi con la clientela anche quando questo stato di emergenza finalmente cesserà. Il primo intervistato è stato Davide Oldani del Ristorante D’O di Cornaredo (MI).
Per molti versi la pandemia ha agito come uno strano esperimento sociale. Ha offerto a ciascuno di noi del tempo libero dai soliti impegni in cui realizzare delle cose non pianificate. Come ha usato questo tempo?
Prima di tutto bisogna dire che è una cosa che è accaduta dall’oggi al domani. Noi abbiamo chiuso il ristorante sabato sera per il weekend, e abbiamo riaperto dopo 90 gg.Tutto è diventato imprevedibile: dall’agenda piena con mille richieste e appuntamenti e viaggi al nulla, e mi vien da dire che se da una parte mi dispiace per le persone che ci sono passate e per quelli che hanno perso qualcuno, dall’altra parte, secondo me il buon Dio ci ha dato un segnale per dire che siamo solo affittuari del mondo e un monito per le persone che pensano solo a correre. Per me è stato un momento di blocco e di riflessione, anziché andare a mille all’ora ho viaggiato ad uno all’ora. E devo dire che i mesi passati a ragionare con un andamento lento sono stati cento volte meglio, la lentezza porta a frutti migliori. Il famoso detto lavorare in maniera corretta – lavorare poco, ma bene è una cosa molto valida da riprendere e portare avanti.
È stato fatto un totale reset. Secondo me la gente si lamenta che non ha più la vita sociale, non ha più le uscite con gli amici. È stata ricostruita, invece, la radice della vita sociale, cioè quella vita sociale che mancava a tutti di cui non ci accorgevamo, che è quella della famiglia. La vita sociale nasce prima tra le quattro mura della casa e da lì poi parte la vita che viviamo fuori.
Se non sbaglio, lei ha scelto di non implementare un servizio di “delivery”. Immagino che fosse un “no” molto ponderato. Perché ha sentito che non era la cosa giusta per il D’O.?
Non l’ho fatto, perché non è il mio mestiere. Il mio mestiere è l’ospitalità, accogliere le persone nella nostra casa e dare un servizio, un occhio di riguardo con amore e con la voglia di ospitare le persone tra le quattro mura.
Attualmente, sotto questo aspetto, c’è solo il PanD’O, il lievitato che abbiamo iniziato a produrre e di cui siamo molto felici. Nel nostro progetto futuro c’è un laboratorio, sempre nella piazzetta, una realtà che deve andare a completare il servizio del D’O, ma non vorrei fare il passo più lungo della gamba.
Mi sembra affermare l’idea che l’esperienza di D’O non è semplicemente il cibo. È un insieme di cose, d’accoglienza, di esperienza sensoriale.
Il mondo del D’O è una realtà nella quale offriamo un servizio che ci permette di relazionarci con le persone e di crescere perché le persone ci parlano, abbiamo uno scambio.
Quali strategie, se ce ne sono state, ha implementato per rimanere in contatto con la sua clientela durante il periodo di chiusura del ristorante?
Nessuna strategia. Ho chiuso perché io lavoro nel commercio ed è il cliente che riprende a tornare se lo ritiene opportuno, se ne ha voglia. Nessun marketing, nessuna seduta a pensare: il mio lavoro è aprire un ristorante alla mattina e chiuderlo alla sera. Non è stato possibile per molto tempo a causa di un evento bruttissimo, adesso abbiamo appena riaperto e le strategie ripartono da sole senza troppi pensieri perché se offri qualità la gente si ricorda di te e non vede l’ora di ritornare.
C’è la voglia di tornare e altrettanta voglia di sicurezza, le persone hanno voglia di stare tranquille e di mangiare bene. Fare dei programmi?…lasciamoli fare ai manager. Io faccio il cuoco. È una cosa che bisogna fare con il cuore e soprattutto guardando in faccia le persone.
Per molti chef-proprietari la gestione del personale in questo frangente è stata particolarmente complicata, a volte anche dolorosa. Con il suo team come avete affrontato il periodo di chiusura?
L’abbiamo affrontato reintegrando la cassa integrazione al 100% a tutti. L’abbiamo anticipata totalmente a tutti e abbiamo assunto due persone. Non credo che una pandemia in 6-7 mesi possa annientare i miei sogni e la voglia di fare il mio mestiere.
È stato sorprendente quante attività, apparentemente solide, realtà storiche hanno gridato subito al disastro.
Ogni situazione è diversa e ognuno ha un punto di vista personale. Per me è stato un disastro principalmente a livello umano per tutte le persone che sono state male. Del resto la pandemia spagnola di 100 anni fa ha fatto più morti. La pandemia è entrata nella nostra vita e abbiamo dovuto accettarla.
A lungo termine, che tipi di cambiamenti pensa che questo periodo porterà al settore della ristorazione?
Ci sarà una selezione e andremo sempre più verso la qualità che traccerà la strada per avere anche relazioni migliori, anche cibo migliore.
La stampa del settore è piena di consigli contrastanti per il governo affinché intervenga a favore del settore della ristorazione. Quale dovrebbe essere il ruolo del governo nella ripresa?
Questa è una domandona anche perché il governo è nuovo. Non spetta a me rispondere perché non sono un politico – La cosa che mi fa paura per l’Italia è questo senso di mancanza di continuità. Oltre al problema dei contagi, dobbiamo avere anche problemi politici? No! A me piace il mio paese altrimenti restavo all’estero. Ma ho deciso di rientrare e di restare, per questo accetto quello che mi propongono i miei governanti.
L’Italia è notoriamente il paese che “sa arrangiarsi” sempre e comunque; c’è da sperare che questa qualità prevalga e aiuti a rimettere in sesto le cose.
Assolutamente sì. Sotto alcuni profili l’Italia ha reagito meglio della Germania, meglio dell’Inghilterra, sotto altri aspetti, invece, no. Adesso si tratta di riprendere rispettando il prossimo nella consapevolezza che nessuno da solo può cambiare il mondo, ma che solo dando il nostro piccolo contributo e rispettando il prossimo avremo sicuramente un approccio alla vita diverso.
Per concludere, in Bibliotheca chiediamo a tutti gli intervistati cosa stanno leggendo.
Sto leggendo DŌ, un libro tradotto dal giapponese che, in un certo senso, riguarda la ricerca della felicità. Mi incuriosiva perché esamina anche come i samurai, che hanno avuto a che fare con la violenza, con la guerra, abbiano preso spunto e trasformato il DŌ in un modo di vivere. È una filosofia di vita che mi piace molto e non è un caso che il mio ristorante si chiama D’O. Ho un po’ di libri simili, ma vado a spizzichi e bocconi. Ho inoltre sul mio comodino la Bibbia che mi accompagna sempre.
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