Fotografo concettuale dal percorso singolare, Luca Rosati ha lavorato come chef professionista per quindici anni in Italia e all’estero prima di passare dietro l’obbiettivo. Questa sua duplice esperienza lo ha reso un soggetto particolarmente adatto al format di Il piatto racconta – L’affascinante arte della presentazione, un libro che interroga cosa e come gli chef comunicano attraverso le presentazioni dei loro piatti.
Oggi i suoi scatti, sono ricercati in ambito editoriale e dal mondo dell’advertising. Quelli riprodotti a corredo di questa intervista sono tratte dal libro.
Nel volume Il piatto racconta lei svolge un interessante duplice ruolo: quello di chef e quello di fotografo, quale dei suoi due talenti ha guidato l’altro per il risultato finale?
Non si possono dividere i due ruoli. In entrambi quello che mi muove è la volontà di arrivare ad un risultato estetico spettacolare tramite una combo perfetta.
Il piatto racconta è un libro con peculiarità uniche. In cosa secondo lei si differenzia dai libri che parlano di presentazione dei piatti e perché la sua lettura può essere davvero utile ed interessante per un cuoco? In questo volume oltre alla bellezza estetica del piatto espressa tramite le fotografie che lo ritraggono, si va a scoprire da dove nasce la ricetta che gli ha dato vita. Non è il classico libro di ricette e foto che mostra essenzialmente come deve essere il risultato finale. Come il titolo originale dice, ogni piatto è una “Story on a Plate”. L’essenza del libro è proprio quella di scoprire come un piatto nasce, il pensiero, la storia che ci sono dietro. Ogni chef del libro racconta le proprie esperienze e le proprie peculiarità. I miei piatti sono nati dai ricordi, dai profumi dei luoghi visitati ma anche dalla voglia di sperimentare per vincere la noia della routine. Ogni piatto, quando arriva al tavolo, attraverso l’estetica deve far vivere un esperienza prima ancora di assaggiarlo. A me piaceva molto raccontare ai clienti cosa avevano di fronte. il motivo per cui il piatto era presentato in quel modo, il perché della ceramica e anche in che modo dovevano procedere per assaporarlo al meglio. Ancora oggi, nonostante sia fuori dalla cucina, quando faccio delle cene private mi piace raccontare ai commensali cosa c’è dietro all’esperienza che andranno a fare.
A sinistra: Un piatto di Marsala, latte e fichi d’india. A destra: Il cacao è abbinato con la papaia e il foie gras.
Il suo particolare percorso professionale di fotografo e di chef, lo avrà portato spesso a fotografare sia i suoi piatti che piatti preparati da altri cuochi. Come si regola a proposito? Fotografare le proprie pietanze o quelle di altri è la stessa cosa? Fotografare le proprie creazioni e quelle di altri chef sono due cose molto diverse. Con i propri piatti l’approccio è più semplice. Sono tuoi e sai come vuoi farli apparire. Io faccio sempre uno studio a monte prima. Con i piatti di altri chef l’approccio cambia. Devi prima capire chi hai di fronte. Come è la sua cucina, fare un briefing prima di cominciare lo shooting per capire come lui vuole far apparire i suoi piatti. È molto importante instaurare un rapporto di fiducia per trovare una linea estetica condivisa.
A sinistra: Rosati al lavoro nel suo studio. A destra: Agretti perfettamente imperfetti
Ci può dire sinteticamente a cosa deve porre principalmente attenzione un fotografo quando si accinge a immortalare un piatto e quali sono, invece, gli accorgimenti che un cuoco deve prendere in considerazione nel presentare una sua preparazione in modo che, fotografata, possa dare il meglio di sé? Prima di tutto, il fotografo deve capire il tipo di scatto che si desidera eseguire: un set ambientato o minimal, colori vividi e brillanti o toni pastello, quale punto di vista prediligere… Insomma bisogna decidere insieme allo chef che storia si vuol raccontare. Fatto ciò bisogna valutare la luce, che in fotografia è l’elemento fondamentale per esaltare i dettagli o dare una visione d’insieme. Dal canto suo il cuoco deve creare un piatto non dissimile da quello che realmente va in tavola ma deve amplificarne le caratteristiche peculiari per renderlo fotogenico.
In una battuta, un suo prossimo progetto o un sogno nel cassetto? Entrambi, ho dei progetti che sto sviluppando ed altri futuri da sviluppare, sia editoriali che da esposizione. Ho anche un sogno nel cassetto, si, ma quello rimane segreto.
Cascina Forestina, bosco di Riazzolo, Parco Sud Milano: un uomo sul trattore che svolge la sua attività di contadino. Una occupazione diversa, ma non distante da quella più ufficiale di filologo, così la pensa Niccolò Reverdini al quale abbiamo il piacere di rivolgere qualche domanda.
Quando si parla di talenti in fuga si pensa sempre agli scienziati e ai ricercatori che trovano in altre nazioni la possibilità di esprimere al meglio il loro sapere. Una categoria poco citata è quella dei cuochi, spesso nomadi più per scelta che per necessità, che hanno colto una opportunità di lavoro e trovato in …
È sotto gli occhi di tutti che il settore turistico, quello alberghiero, la ristorazione e più in generale tutto il settore dell’ospitalità sia tra i più penalizzati dalle restrizioni anti Covid.Alberghi deserti a causa dell’impossibilità di movimento e ristoranti messi a dura prova, distanziamento e isolamento dei tavoli e una infinita serie di accorgimenti necessari …
Quando si parla di talenti in fuga si pensa sempre agli scienziati, ai ricercatori che trovano in altre nazioni la possibilità di esprimere al meglio il loro sapere. Una categoria poco citata è quella dei cuochi, spesso nomadi più per scelta che per necessità, che hanno colto una opportunità di lavoro e trovato in Paesi …
Luca Rosati: la sostanza dell’estetica
Fotografo concettuale dal percorso singolare, Luca Rosati ha lavorato come chef professionista per quindici anni in Italia e all’estero prima di passare dietro l’obbiettivo. Questa sua duplice esperienza lo ha reso un soggetto particolarmente adatto al format di Il piatto racconta – L’affascinante arte della presentazione, un libro che interroga cosa e come gli chef comunicano attraverso le presentazioni dei loro piatti.
Oggi i suoi scatti, sono ricercati in ambito editoriale e dal mondo dell’advertising. Quelli riprodotti a corredo di questa intervista sono tratte dal libro.
Nel volume Il piatto racconta lei svolge un interessante duplice ruolo: quello di chef e quello di fotografo, quale dei suoi due talenti ha guidato l’altro per il risultato finale?
Non si possono dividere i due ruoli. In entrambi quello che mi muove è la volontà di arrivare ad un risultato estetico spettacolare tramite una combo perfetta.
Il piatto racconta è un libro con peculiarità uniche. In cosa secondo lei si differenzia dai libri che parlano di presentazione dei piatti e perché la sua lettura può essere davvero utile ed interessante per un cuoco?
In questo volume oltre alla bellezza estetica del piatto espressa tramite le fotografie che lo ritraggono, si va a scoprire da dove nasce la ricetta che gli ha dato vita. Non è il classico libro di ricette e foto che mostra essenzialmente come deve essere il risultato finale. Come il titolo originale dice, ogni piatto è una “Story on a Plate”. L’essenza del libro è proprio quella di scoprire come un piatto nasce, il pensiero, la storia che ci sono dietro. Ogni chef del libro racconta le proprie esperienze e le proprie peculiarità. I miei piatti sono nati dai ricordi, dai profumi dei luoghi visitati ma anche dalla voglia di sperimentare per vincere la noia della routine. Ogni piatto, quando arriva al tavolo, attraverso l’estetica deve far vivere un esperienza prima ancora di assaggiarlo. A me piaceva molto raccontare ai clienti cosa avevano di fronte. il motivo per cui il piatto era presentato in quel modo, il perché della ceramica e anche in che modo dovevano procedere per assaporarlo al meglio. Ancora oggi, nonostante sia fuori dalla cucina, quando faccio delle cene private mi piace raccontare ai commensali cosa c’è dietro all’esperienza che andranno a fare.
Il suo particolare percorso professionale di fotografo e di chef, lo avrà portato spesso a fotografare sia i suoi piatti che piatti preparati da altri cuochi. Come si regola a proposito? Fotografare le proprie pietanze o quelle di altri è la stessa cosa?
Fotografare le proprie creazioni e quelle di altri chef sono due cose molto diverse. Con i propri piatti l’approccio è più semplice. Sono tuoi e sai come vuoi farli apparire. Io faccio sempre uno studio a monte prima. Con i piatti di altri chef l’approccio cambia. Devi prima capire chi hai di fronte. Come è la sua cucina, fare un briefing prima di cominciare lo shooting per capire come lui vuole far apparire i suoi piatti. È molto importante instaurare un rapporto di fiducia per trovare una linea estetica condivisa.
Ci può dire sinteticamente a cosa deve porre principalmente attenzione un fotografo quando si accinge a immortalare un piatto e quali sono, invece, gli accorgimenti che un cuoco deve prendere in considerazione nel presentare una sua preparazione in modo che, fotografata, possa dare il meglio di sé?
Prima di tutto, il fotografo deve capire il tipo di scatto che si desidera eseguire: un set ambientato o minimal, colori vividi e brillanti o toni pastello, quale punto di vista prediligere… Insomma bisogna decidere insieme allo chef che storia si vuol raccontare. Fatto ciò bisogna valutare la luce, che in fotografia è l’elemento fondamentale per esaltare i dettagli o dare una visione d’insieme. Dal canto suo il cuoco deve creare un piatto non dissimile da quello che realmente va in tavola ma deve amplificarne le caratteristiche peculiari per renderlo fotogenico.
In una battuta, un suo prossimo progetto o un sogno nel cassetto?
Entrambi, ho dei progetti che sto sviluppando ed altri futuri da sviluppare, sia editoriali che da esposizione. Ho anche un sogno nel cassetto, si, ma quello rimane segreto.
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