Che il cibo metta in moto tutti e cinque i sensi è cosa nota. Siamo noi ad attivarli in modi diversi in relazione alle circostanze. Un sommelier non oserebbe mai a servire un vino senza averlo assaggiato e sentito il suo bouquet. Al momento dell’acquisto di un frutto o un ortaggio è il tatto che lavora insieme all’olfatto per darci informazioni importanti. Tuttavia c’è un senso che prima di tutti gli altri stimola le nostre papille gustative e ci attrae verso un cibo piuttosto che un altro e, ovviamente, stiamo parlando della vista.
La nostra casa editrice ha sempre riservato una particolare attenzione alla cura della qualità fotografica dei libri pubblicati, convinti che il crescente interesse verso la cucina, non sia stato determinato solo dalla bravura degli chef, ma anche dalla capacità di quei bravissimi fotografi che con il loro talento e la loro sensibilità, riescono a catturare tutte le caratteristiche di una pietanza, rendendo il piatto così vivido e appetitoso che ne possiamo quasi intuire il profumo e la consistenza. A loro è dedicata questa rubrica nella quale essi si raccontano e ci raccontano la loro esperienza in merito all’argomento.
Di origine inglese, Colin Dutton si è trasferito in Italia nel 2002. Laureato in Documentary Photography all’Università del Galles, lavora quasi esclusivamente on-location per aziende, giornali e agenzie di pubblicità sia in Italia che all’estero. Ha collaborato con Bibliotheca Culinaria su Cioccolatini, Cottura, abbattimento e ritorno in temperatura e Cucina di montagna: il Trentino.
1) Fotografare il cibo, ingrediente o piatto cucinato, è una di quelle cose che tutti credono semplice finché non provano a farlo. Quando hai iniziato ad affrontare questa particolare sfida? Come si è trasformata in una specializzazione?
Sembra facile, è vero, ma non lo è di sicuro! In un certo senso il lavoro di un fotografo è simile a quello di uno chef. Cucinare, come fotografare, è una cosa che tutti fanno ogni giorno. ma non vuol dire che siamo tutti chef. Come diceva mia nonna: “per fare bene una volta ci vuole un tocco di fortuna, per fare bene cento volte ci vuole un professionista!”
Nel mio caso ho cominciato a fotografare food circa dieci anni fa con le riviste di viaggio. Per fare un reportage di viaggio bisogna affrontare tanti soggetti diversi… passaggio, ritratto, food, interni.. uno dopo l’altro in poco tempo. E’ un bel modo per imparare perché le esigenze di una rivista di viaggio non sono allo stesso livello di una rivista di settore quindi potevo sbagliare un po’ senza fare danni! Ogni tanto qualche foto è riuscita bene e in quel caso ho cercato di capire il perché e di studiare la luce e l’inquadratura che hanno funzionato meglio in quella situazione. Così, pian piano, dal reportage di viaggio mi sono specializzato in una sorta di lifestyle italiano, e in due campi particolari: food ed interni. Magari sembrano campi molto diversi tra di loro ma in realtà entrambi richiedono un utilizzo della luce che trasmette un senso di intimità. L’intimità è fondamentale. Nel caso di interni, per creare uno spazio che ti fa venire voglia di entrare. Nel caso di food, per creare una texture che ti fa venire voglia di toccare o gustare. E’ sempre una questione di luce.
2) Hai dei maestri? Ti ispiri ad altri grandi fotografi del passato, oppure hai costruito su altri presupposti i tuoi punti di riferimento e di ricerca?
Il mio background è in Documentary Photography che è tutto un altro mondo, fotograficamente. Ho fatto due anni di diploma e poi tre anni di Laurea in fotografia quindi potrei dare i nomi di tanti fotografi che mi hanno ispirato.Tra questi, devo confessare, non ci sono fotografi di food. Non importa però. Credo che, oltre alla capacità tecnica, la cosa che contraddistingue un fotografo è il suo ‘gusto’. La tecnica si può imparare in poco tempo. Il gusto, secondo me, viene dopo anni di immersione nella cultura visiva. Ma una volta sviluppato, si può applicare in diversi campi della fotografia.
Solo granoturco: bavarese di mais tostato, biscotto di melica, nuvola e gelato di polenta – Piatto di Alfio Ghezzi da “Cucina di Montagna – Il Trentino”
3) La “food-foto-mania” è dilagante. Sembra che ogni persona armata di smart phone si senta in dovere non solo di fotografare la prima colazione, ma anche di pubblicare l’immagine sui vari social network o sul proprio blog. Questa circostanza ha modificato il tuo rapporto con i clienti e con i media, oppure la professionalità viene sempre riconosciuta e premiata?
Sì, ormai siamo bombardati da immagini, e non solo foto di food. Di tutto. La fotografia non è mai stata così importante, ma allo stesso tempo il valore della fotografia è riconosciuto meno. E’ strano, no? Mi contattano tanti giovani che vogliano entrare nella professione e non sanno come fare. Per me negli ultimi anni il mercato si è diviso in due fasce. C’è quella di base in qui i clienti non vogliano pagare per la fotografia e si accontentano di foto di bassa qualità. E poi c’è quella in cui i clienti sono più esigenti, capiscono il valore dell’immagine, e sono pronti ad investire per garantire un certo stile o qualità. Mi fa piacere vedere foto di food sui blog e social media ma uno che vuole vivere di fotografia deve buttarsi verso la fascia più alta. Il mio consiglio ai giovani è di specializzarsi e cercare di fare una cosa talmente bene da poter mettersi in concorrenza con pochi, e non con tutti.Per questo motivo mi sono specializzato in fotografia di food e di interni. Sono due campi che richiedono una certa professionalità e così non mi trovo in concorrenza con quelli armati di smart phone!
4) In ogni settore dove l’immagine gioca un ruolo importante, le idee vincenti vengono riconosciute e, a forza di copiature, trasformate in banalità. I social media hanno accelerato questo processo. l’occhio addestrato del professionista nota prima i trend e tenta di non rimanerne vittima. Trovi che ci sono inquadrature, atteggiamenti, allestimenti che rifiuti proprio per questo motivo?
Domanda difficile. Posso chiamare a casa?
5) Con la virata verso i sistemi digitali, ogni professionista ha dovuto diventare anche un esperto di software e occuparsi dei meandri della post-produzione. Questo aspetto della professione è per alcuni stimolante e per altri un’imposizione. Da che parte ti trovi? Ti occupi della post-produzione in prima persona o deleghi? Lo fai con piacere oppure lo affronti come i compiti a casa?
Oggi la post-produzione far parte del lavoro e in realtà lo faccio volentieri perché rappresenta l’ultimo step nel processo creativo. Per questo motivo non delego altrimenti mi sentirei di aver perso la paternità dell’immagine in qualche modo.Per la fotografia di food ho meno lavoro da fare in post. Cerco di avere tutto sotto controllo, tecnicamente, durante lo shooting e questo evita i trucchi di Photoshop dopo. Diciamo che la post-produzione è la parte meno stressante del lavoro ed è sempre bello vedere i risultati sullo schermo.
Costata di manzo all’arancia e senape – Piatto di Franco Luise da “Cottura, Abbattimento, Ritorno in temperatura – Food Management del XXI secolo”
6) Il rapporto con altri “creativi” è spesso una incognita. Con uno chef o uno stylist si deve trovare il giusto equilibrio e ci deve essere il rispetto delle reciproche professionalità per dar vita ad una bella foto. Come ti regoli? Come si fa a raggirare gli ego soprattutto quando i tempi sono stretti?
Bella domanda. Ma alla fine, come dici tu, basta mostrare rispetto per la professionalità degli altri nella speranza che gli altri lo mostrino verso di te! Non ho mai avuto grossi problemi devo dire. Sicuramente anche lo chef e lo stylist stanno pensando “o Dio, come si comporterà questo fotografo?” quindi quando arrivo cerco di presentarmi subito come un tipo positivo, tranquillo, e con l’entusiasmo di fare un bel lavoro. Qualche complimento funziona sempre.. ‘che bel piatto, bravo!..” o una cosa del genere. Ma una volta che lo chef vede che sto veramente cercando di fare il mio meglio con quello che lui o lei ha creato, poi si tranquillizza e dopo poco tempo si entra in una sorta di sinergia.
7) Anche dopo anni di lavoro, esistono piatti e/o situazioni che rappresentano delle sfide tecniche o creative, soprattutto visto che lavori principalmente on location e non sempre sei ricorso agli espedienti dello studio?
Sì, non sono il classico fotografo di studio.. non sono neanche il classico fotografo di food. Infatti non so chi sono! Ma per me è un piacere lavorare on location e i risultati sono sempre e comunque più naturali in confronto di foto fatte in studio. E’ vero che la location può anche creare problemi tecnici; poco spazio, poca luce naturale, sfondi o oggetti banali ecc. Ma a me piace la sfida di arrangiarmi con quello che trovo. E porto comunque le mie luci modo da poter sempre tornare a casa con delle belle foto.
Come soggetti difficili …. cioccolatini ad esempio, che ho appena fatto per Bibliotheca Culinaria! Sono piccoli e abbastanza simili quindi ho dovuto inventare composizioni diverse e giocare con la luce per dare varietà e ritmo al libro. Poi, gelato, ovviamente, offre delle sfide. Anche carne, bistecche e hamburger. In quei casi il lavoro di un food stylist è fondamentale. Riescono a ‘truccare’ il cibo in modo che si presenti bene davanti all’obiettivo.
Praline al caffè e Tartufi noce moscata di Danilo Freguja da “Cioccolatini”
8) Il tuo sito contiene una sezione dedicata ai progetti personali, percorsi che esulano dal mondo del cibo, interni, lifestyle. Negli anni ti abbiamo seguito sui luoghi delle battaglie della prima guerra mondiale, su una esplorazione del Piave e anche in uno straordinario servizio su Vukovar, un paese ai confini Serbo-Croati. Come scegli questi temi? Quale è la loro funzione per te?
Per me la fotografia non è solo un lavoro, ma anche un modo per parlare delle cose che trovo interessanti nel mondo.Devo dividere le due cose, ovviamente, ma a tutt’oggi continuo a frequentare workshop e fare progetti di ricerca oltre il mio lavoro professionale. Non è sempre facile, anche perché questi progetti hanno un ritorno culturale o personale, ma non economico. Tuttavia sono molto importanti per me.
I temi nascono dai miei interessi. Nel caso del Piave, ogni volta che passavo il fiume su un ponte e vedevo il paesaggio intorno mi venivano i brividi. Ero curioso di sapere cosa c’era lungo quell’argine inquietante. Nel caso di Vukovar, volevo affrontare un soggetto ‘foto-giornalistico’, cioè la guerra, in un modo più tranquillo e riflessivo. E’ stata un’esperienza molto profonda. La possibilità di conoscere gente diversa e realtà straordinarie e un privilegio che la fotografia mi offre. Ho fatto una mostra a Parigi con il progetto di Vukovar e guardando la reazione del pubblico davanti alle fotografie mi sono reso conto che l’immagine può ancora toccarci e farci pensare, anche se viviamo in una società visualmente saturata, come abbiamo detto prima.
9) Come ti piacerebbe vedere cambiare il mondo editoriale del food? C’è un brief che sogni di ricevere? Ti piacerebbe lavorare in bianco e nero?
Vedo il mondo editoriale di food abbastanza sano in questo momento. Ci sono delle belle cose in giro e c’è posto per stili e approcci originali. Pensandoci però, non credo di aver mai visto una foto di food in bianco e nero. Ma se volete proporre un libro sono disponibile!
10) Come è il tuo rapporto personale con il cibo?
Le frequentazioni con abili professionisti del settore ti hanno spinto a diventare a tua volta un esperto gourmet, oppure l’alta cucina rimane nel comparto “lavoro” mentre i tuoi gusti alimentari sono altri e più frugali?
Devo dire che da quando mi sono trasferito in Italia, e soprattutto facendo questo lavoro, ho sviluppato un rapporto diverso con il cibo.Qui c’è una cultura alimentare più ricca che segue meglio la qualità, la stagionalità e la provenienza del cibo che mangiamo. Apprezzo molto la cucina tradizionale che fa mia suocera, ad esempio, o che si trova nelle trattorie qui intorno. Apprezzo anche i piatti più sofisticati che a volte mi tocca a mangiare nei ristoranti stellati. Ma visto quante tasse devo pagare qui in Italia i miei gusti quotidiani non possono essere altro che più frugali!
11) In chiusura, ci lasceresti un’immagine di food che parla per te?
Ecco una foto che ho scattato per Bibliotheca Culinaria per il libro Cucina di Montagna – Trentino, fatta nel ristorante in poco tempo, con luce naturale e un colpo di flash. Mi piace l’effetto ma anche il fatto che i colori dello sfondo si ripetano nel sorbetto e nelle fragoline. Giusto per dire che un po’ di magia si può sempre trovare, anche lontano dallo studio fotografico.
Sorbetto alla carota, fragoline di bosco e gelatina ai fiori di sambuco – Piatto di Alessandro Gilmozzi da “Cucina di montagna – Il Trentino”
È sotto gli occhi di tutti che il settore della ristorazione sia tra i più penalizzati dalle restrizioni anti Covid. Distanziamento ed isolamento dei tavoli e una infinita serie di accorgimenti necessari per il contenimento del contagio non sono bastati per arginare il virus e così, a fasi alternate, assistiamo a parziali chiusure e repentine …
I libri possono essere uno specchio della personalità? Lo scatto dello scaffale vale come selfie? Allora vi presentiamo lo shelfie: la rubrica che offre un (auto)ritratto attraverso la propria biblioteca. Oggi lo “scatto” è dedicato a Leonardo Di Carlo, maestro pasticciere pluripremiato, docente, autore e personaggio televisivo. In moto praticamente perpetuo la sua attività di …
Classe 1981, a quattordici anni lascia il suo paese per iniziare a lavorare come cameriere. Così dal gradino più basso della gerarchia della cucina, inizia la sua scalata che lo porta alla corte di grandi maestri come Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse. A 25 anni sceglie di tornare a San Gennaro Vesuviano, dove decide di …
La nostra casa editrice ha sempre riservato una particolare attenzione alla cura della qualità fotografica dei libri pubblicati, convinti che il crescente interesse verso la cucina, non sia stato determinato solo dalla bravura degli chef, ma anche dalla capacità di quei bravissimi fotografi che con il loro talento e la loro sensibilità, riescono a catturare tutte …
Parola ai fotografi – Colin Dutton
Che il cibo metta in moto tutti e cinque i sensi è cosa nota. Siamo noi ad attivarli in modi diversi in relazione alle circostanze. Un sommelier non oserebbe mai a servire un vino senza averlo assaggiato e sentito il suo bouquet. Al momento dell’acquisto di un frutto o un ortaggio è il tatto che lavora insieme all’olfatto per darci informazioni importanti. Tuttavia c’è un senso che prima di tutti gli altri stimola le nostre papille gustative e ci attrae verso un cibo piuttosto che un altro e, ovviamente, stiamo parlando della vista.
La nostra casa editrice ha sempre riservato una particolare attenzione alla cura della qualità fotografica dei libri pubblicati, convinti che il crescente interesse verso la cucina, non sia stato determinato solo dalla bravura degli chef, ma anche dalla capacità di quei bravissimi fotografi che con il loro talento e la loro sensibilità, riescono a catturare tutte le caratteristiche di una pietanza, rendendo il piatto così vivido e appetitoso che ne possiamo quasi intuire il profumo e la consistenza. A loro è dedicata questa rubrica nella quale essi si raccontano e ci raccontano la loro esperienza in merito all’argomento.
Di origine inglese, Colin Dutton si è trasferito in Italia nel 2002. Laureato in Documentary Photography all’Università del Galles, lavora quasi esclusivamente on-location per aziende, giornali e agenzie di pubblicità sia in Italia che all’estero. Ha collaborato con Bibliotheca Culinaria su Cioccolatini, Cottura, abbattimento e ritorno in temperatura e Cucina di montagna: il Trentino.
1) Fotografare il cibo, ingrediente o piatto cucinato, è una di quelle cose che tutti credono semplice finché non provano a farlo. Quando hai iniziato ad affrontare questa particolare sfida? Come si è trasformata in una specializzazione?
Sembra facile, è vero, ma non lo è di sicuro! In un certo senso il lavoro di un fotografo è simile a quello di uno chef. Cucinare, come fotografare, è una cosa che tutti fanno ogni giorno. ma non vuol dire che siamo tutti chef. Come diceva mia nonna: “per fare bene una volta ci vuole un tocco di fortuna, per fare bene cento volte ci vuole un professionista!”
Nel mio caso ho cominciato a fotografare food circa dieci anni fa con le riviste di viaggio. Per fare un reportage di viaggio bisogna affrontare tanti soggetti diversi… passaggio, ritratto, food, interni.. uno dopo l’altro in poco tempo. E’ un bel modo per imparare perché le esigenze di una rivista di viaggio non sono allo stesso livello di una rivista di settore quindi potevo sbagliare un po’ senza fare danni! Ogni tanto qualche foto è riuscita bene e in quel caso ho cercato di capire il perché e di studiare la luce e l’inquadratura che hanno funzionato meglio in quella situazione. Così, pian piano, dal reportage di viaggio mi sono specializzato in una sorta di lifestyle italiano, e in due campi particolari: food ed interni. Magari sembrano campi molto diversi tra di loro ma in realtà entrambi richiedono un utilizzo della luce che trasmette un senso di intimità. L’intimità è fondamentale. Nel caso di interni, per creare uno spazio che ti fa venire voglia di entrare. Nel caso di food, per creare una texture che ti fa venire voglia di toccare o gustare. E’ sempre una questione di luce.
2) Hai dei maestri? Ti ispiri ad altri grandi fotografi del passato, oppure hai costruito su altri presupposti i tuoi punti di riferimento e di ricerca?
Il mio background è in Documentary Photography che è tutto un altro mondo, fotograficamente. Ho fatto due anni di diploma e poi tre anni di Laurea in fotografia quindi potrei dare i nomi di tanti fotografi che mi hanno ispirato. Tra questi, devo confessare, non ci sono fotografi di food. Non importa però. Credo che, oltre alla capacità tecnica, la cosa che contraddistingue un fotografo è il suo ‘gusto’. La tecnica si può imparare in poco tempo. Il gusto, secondo me, viene dopo anni di immersione nella cultura visiva. Ma una volta sviluppato, si può applicare in diversi campi della fotografia.
Solo granoturco: bavarese di mais tostato, biscotto di melica, nuvola e gelato di polenta – Piatto di Alfio Ghezzi da “Cucina di Montagna – Il Trentino”
3) La “food-foto-mania” è dilagante. Sembra che ogni persona armata di smart phone si senta in dovere non solo di fotografare la prima colazione, ma anche di pubblicare l’immagine sui vari social network o sul proprio blog. Questa circostanza ha modificato il tuo rapporto con i clienti e con i media, oppure la professionalità viene sempre riconosciuta e premiata?
Sì, ormai siamo bombardati da immagini, e non solo foto di food. Di tutto. La fotografia non è mai stata così importante, ma allo stesso tempo il valore della fotografia è riconosciuto meno. E’ strano, no? Mi contattano tanti giovani che vogliano entrare nella professione e non sanno come fare. Per me negli ultimi anni il mercato si è diviso in due fasce. C’è quella di base in qui i clienti non vogliano pagare per la fotografia e si accontentano di foto di bassa qualità. E poi c’è quella in cui i clienti sono più esigenti, capiscono il valore dell’immagine, e sono pronti ad investire per garantire un certo stile o qualità. Mi fa piacere vedere foto di food sui blog e social media ma uno che vuole vivere di fotografia deve buttarsi verso la fascia più alta. Il mio consiglio ai giovani è di specializzarsi e cercare di fare una cosa talmente bene da poter mettersi in concorrenza con pochi, e non con tutti. Per questo motivo mi sono specializzato in fotografia di food e di interni. Sono due campi che richiedono una certa professionalità e così non mi trovo in concorrenza con quelli armati di smart phone!
4) In ogni settore dove l’immagine gioca un ruolo importante, le idee vincenti vengono riconosciute e, a forza di copiature, trasformate in banalità. I social media hanno accelerato questo processo. l’occhio addestrato del professionista nota prima i trend e tenta di non rimanerne vittima. Trovi che ci sono inquadrature, atteggiamenti, allestimenti che rifiuti proprio per questo motivo?
Domanda difficile. Posso chiamare a casa?
5) Con la virata verso i sistemi digitali, ogni professionista ha dovuto diventare anche un esperto di software e occuparsi dei meandri della post-produzione. Questo aspetto della professione è per alcuni stimolante e per altri un’imposizione. Da che parte ti trovi? Ti occupi della post-produzione in prima persona o deleghi? Lo fai con piacere oppure lo affronti come i compiti a casa?
Oggi la post-produzione far parte del lavoro e in realtà lo faccio volentieri perché rappresenta l’ultimo step nel processo creativo. Per questo motivo non delego altrimenti mi sentirei di aver perso la paternità dell’immagine in qualche modo. Per la fotografia di food ho meno lavoro da fare in post. Cerco di avere tutto sotto controllo, tecnicamente, durante lo shooting e questo evita i trucchi di Photoshop dopo. Diciamo che la post-produzione è la parte meno stressante del lavoro ed è sempre bello vedere i risultati sullo schermo.
Costata di manzo all’arancia e senape – Piatto di Franco Luise da “Cottura, Abbattimento, Ritorno in temperatura – Food Management del XXI secolo”
6) Il rapporto con altri “creativi” è spesso una incognita. Con uno chef o uno stylist si deve trovare il giusto equilibrio e ci deve essere il rispetto delle reciproche professionalità per dar vita ad una bella foto. Come ti regoli? Come si fa a raggirare gli ego soprattutto quando i tempi sono stretti?
Bella domanda. Ma alla fine, come dici tu, basta mostrare rispetto per la professionalità degli altri nella speranza che gli altri lo mostrino verso di te! Non ho mai avuto grossi problemi devo dire. Sicuramente anche lo chef e lo stylist stanno pensando “o Dio, come si comporterà questo fotografo?” quindi quando arrivo cerco di presentarmi subito come un tipo positivo, tranquillo, e con l’entusiasmo di fare un bel lavoro. Qualche complimento funziona sempre.. ‘che bel piatto, bravo!..” o una cosa del genere. Ma una volta che lo chef vede che sto veramente cercando di fare il mio meglio con quello che lui o lei ha creato, poi si tranquillizza e dopo poco tempo si entra in una sorta di sinergia.
7) Anche dopo anni di lavoro, esistono piatti e/o situazioni che rappresentano delle sfide tecniche o creative, soprattutto visto che lavori principalmente on location e non sempre sei ricorso agli espedienti dello studio?
Sì, non sono il classico fotografo di studio.. non sono neanche il classico fotografo di food. Infatti non so chi sono! Ma per me è un piacere lavorare on location e i risultati sono sempre e comunque più naturali in confronto di foto fatte in studio. E’ vero che la location può anche creare problemi tecnici; poco spazio, poca luce naturale, sfondi o oggetti banali ecc. Ma a me piace la sfida di arrangiarmi con quello che trovo. E porto comunque le mie luci modo da poter sempre tornare a casa con delle belle foto.
Come soggetti difficili …. cioccolatini ad esempio, che ho appena fatto per Bibliotheca Culinaria! Sono piccoli e abbastanza simili quindi ho dovuto inventare composizioni diverse e giocare con la luce per dare varietà e ritmo al libro. Poi, gelato, ovviamente, offre delle sfide. Anche carne, bistecche e hamburger. In quei casi il lavoro di un food stylist è fondamentale. Riescono a ‘truccare’ il cibo in modo che si presenti bene davanti all’obiettivo.
Praline al caffè e Tartufi noce moscata di Danilo Freguja da “Cioccolatini”
8) Il tuo sito contiene una sezione dedicata ai progetti personali, percorsi che esulano dal mondo del cibo, interni, lifestyle. Negli anni ti abbiamo seguito sui luoghi delle battaglie della prima guerra mondiale, su una esplorazione del Piave e anche in uno straordinario servizio su Vukovar, un paese ai confini Serbo-Croati. Come scegli questi temi? Quale è la loro funzione per te?
Per me la fotografia non è solo un lavoro, ma anche un modo per parlare delle cose che trovo interessanti nel mondo. Devo dividere le due cose, ovviamente, ma a tutt’oggi continuo a frequentare workshop e fare progetti di ricerca oltre il mio lavoro professionale. Non è sempre facile, anche perché questi progetti hanno un ritorno culturale o personale, ma non economico. Tuttavia sono molto importanti per me.
I temi nascono dai miei interessi. Nel caso del Piave, ogni volta che passavo il fiume su un ponte e vedevo il paesaggio intorno mi venivano i brividi. Ero curioso di sapere cosa c’era lungo quell’argine inquietante. Nel caso di Vukovar, volevo affrontare un soggetto ‘foto-giornalistico’, cioè la guerra, in un modo più tranquillo e riflessivo. E’ stata un’esperienza molto profonda. La possibilità di conoscere gente diversa e realtà straordinarie e un privilegio che la fotografia mi offre. Ho fatto una mostra a Parigi con il progetto di Vukovar e guardando la reazione del pubblico davanti alle fotografie mi sono reso conto che l’immagine può ancora toccarci e farci pensare, anche se viviamo in una società visualmente saturata, come abbiamo detto prima.
9) Come ti piacerebbe vedere cambiare il mondo editoriale del food? C’è un brief che sogni di ricevere? Ti piacerebbe lavorare in bianco e nero?
Vedo il mondo editoriale di food abbastanza sano in questo momento. Ci sono delle belle cose in giro e c’è posto per stili e approcci originali. Pensandoci però, non credo di aver mai visto una foto di food in bianco e nero. Ma se volete proporre un libro sono disponibile!
10) Come è il tuo rapporto personale con il cibo?
Le frequentazioni con abili professionisti del settore ti hanno spinto a diventare a tua volta un esperto gourmet, oppure l’alta cucina rimane nel comparto “lavoro” mentre i tuoi gusti alimentari sono altri e più frugali?
Devo dire che da quando mi sono trasferito in Italia, e soprattutto facendo questo lavoro, ho sviluppato un rapporto diverso con il cibo. Qui c’è una cultura alimentare più ricca che segue meglio la qualità, la stagionalità e la provenienza del cibo che mangiamo. Apprezzo molto la cucina tradizionale che fa mia suocera, ad esempio, o che si trova nelle trattorie qui intorno. Apprezzo anche i piatti più sofisticati che a volte mi tocca a mangiare nei ristoranti stellati. Ma visto quante tasse devo pagare qui in Italia i miei gusti quotidiani non possono essere altro che più frugali!
11) In chiusura, ci lasceresti un’immagine di food che parla per te?
Ecco una foto che ho scattato per Bibliotheca Culinaria per il libro Cucina di Montagna – Trentino, fatta nel ristorante in poco tempo, con luce naturale e un colpo di flash. Mi piace l’effetto ma anche il fatto che i colori dello sfondo si ripetano nel sorbetto e nelle fragoline. Giusto per dire che un po’ di magia si può sempre trovare, anche lontano dallo studio fotografico.
Sorbetto alla carota, fragoline di bosco e gelatina ai fiori di sambuco – Piatto di Alessandro Gilmozzi da “Cucina di montagna – Il Trentino”
Related Posts
Reset – Davide Oldani – Ristorante D’O, Cornaredo (MI)
È sotto gli occhi di tutti che il settore della ristorazione sia tra i più penalizzati dalle restrizioni anti Covid. Distanziamento ed isolamento dei tavoli e una infinita serie di accorgimenti necessari per il contenimento del contagio non sono bastati per arginare il virus e così, a fasi alternate, assistiamo a parziali chiusure e repentine …
Lo shelfie – Leonardo Di Carlo
I libri possono essere uno specchio della personalità? Lo scatto dello scaffale vale come selfie? Allora vi presentiamo lo shelfie: la rubrica che offre un (auto)ritratto attraverso la propria biblioteca. Oggi lo “scatto” è dedicato a Leonardo Di Carlo, maestro pasticciere pluripremiato, docente, autore e personaggio televisivo. In moto praticamente perpetuo la sua attività di …
Conversazione con Pietro Parisi
Classe 1981, a quattordici anni lascia il suo paese per iniziare a lavorare come cameriere. Così dal gradino più basso della gerarchia della cucina, inizia la sua scalata che lo porta alla corte di grandi maestri come Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse. A 25 anni sceglie di tornare a San Gennaro Vesuviano, dove decide di …
Parola ai fotografi – Francesca Moscheni
La nostra casa editrice ha sempre riservato una particolare attenzione alla cura della qualità fotografica dei libri pubblicati, convinti che il crescente interesse verso la cucina, non sia stato determinato solo dalla bravura degli chef, ma anche dalla capacità di quei bravissimi fotografi che con il loro talento e la loro sensibilità, riescono a catturare tutte …