Per tutto il mese di ottobre abbiamo tutti letto molti articoli dedicati ad Expo collocati in blog e riviste online, di operatori del settore cibo e dintorni o della comunicazione.
I commenti non erano più quelli di maggio, incuriositi e speranzosi che Expo potesse essere per Milano e l’Italia una scommessa vinta, più che altro si trattava di cronache personali della propria “expogiornata”.
Iniziavano quasi tutti nello stesso modo, addirittura con l’identica frase ”E alla fine sono andato ad Expo” come se passarci almeno una giornata prima che chiudesse i battenti fosse un obbligo faticoso e scarsamente interessante al quale non ci si potesse sottrarre, un po’ come prepararsi a subire il pranzo di Natale in famiglia con parenti semidimenticati e bambini scatenati: lo si fa per non sentirsi in colpa e per non risultare manchevoli, asociali.
Così abbiamo letto, scoperto o abbiamo avuto conferma che in Expo è stato difficile trovare un’edicola, che per saltare la coda è bastato intrufolarsi tra i giornalisti nessuno chiedeva il pass, che gli stand più celebrati erano in realtà i più inutili, che i ristoranti erano cari, che le code per entrare nei padiglioni avevano tempi d’attesa disumani ecc..racconti di fantozziana memoria uniti dal comune desiderio di sottolineare inefficienze, disorganizzazione, disuguaglianze di trattamento.
Abbiamo pensato che questi aspetti egoexpocentrici siano alla fine di scarso rilievo, che le riflessioni su Expo meritino un livello di approfondimento maggiore e meno cronachistico, e quindi abbiamo pensato di rivolgere una unica domanda (cosa resterà di Expo?) ad alcuni qualificati professionisti che attraverso il loro punto di vista ci aiutino a comprendere il vero senso di questa manifestazione.
Alberto Capatti
Non ci sono solo due modi di vedere EXPO, da dentro o da fuori, nella folla o con distacco, c’è una terza lente d’ingrandimento che, per un caso fortuito, è fruibile all’esterno, ma vi si può accedere con il medesimo biglietto. E’ la mostra *Arts & Food, Cucine & Ultracorpi* dal 1 maggio e rimasta fino al 31 ottobre in Triennale. Avrebbe dovuto essere al centro del recinto di Rho ed è finita nel parco del Castello. Entriamo nelle ben note sale, spazi vasti, scaloni, soffitti alti o viceversa nell’impluvio, e nel rigore architettonico ritroviamo ogni tipo di oggetti, quadri, foto, coltelli, ricettari, teche e tavoli, il design e gli elettrodomestici. Tutti datati 1851-2015 ? Il visitatore è incapace di dirlo con precisione, ma non è la cronologia che guida il percorso. E’ piuttosto una modernità che come una marea sommerge i visitatori, e come un naufragio lascia ovunque relitti, stoviglie e tavole. Il fascino del disordine è indubbio perché la nostra stessa cultura alimentare perde pezzi e ne recupera dal passato, guizza e ristagna, e tutto procede a comparti: chi studia il design, chi la storia, chi le nature morte e chi vita e morte degli chef. Teoricamente c’è un doppio catalogo curato da Celant e stampato da Electa, ma non ho visto nessuno che ne reggesse i due chili e del resto non è nemmeno un catalogo ma una monumentale monografia. Quando lo consulti a casa ti rendi conto che “Miss Grape” di Mel Ramos è su internet come “Cheese” di Claes Oldemburg, e così grande parte della mostra. Non è un limite anzi una prova di forza. Nelle sale ormai molti guardano e memorizzano solo con il telefono. Che rapporto con EXPO? “Arts & Food” ne è la memoria smemorata, e una estrapolazione culturale, finita nella Triennale si direbbe per scherzo, ubiqua come ogni evento comunicato. E’ un luogo di meditazione esistita fino al 31 ottobre, ma dispersa, disseminata, sopravviverà.
Aldo Colonetti Arnaldo Pomodoro e Gillo Dorfles hanno compreso più di tutti gli altri, cosa è EXPO.
Tutti i grandi eventi che hanno respiro e finalità internazionali sono destinati a trasformarsi, nell’arco della loro durata, in una serie di narrazioni, definiamoli, laterali, rispetto all’annuncio iniziale. Non è un fatto negativo, appartiene al sistema della progettazione e della comunicazione internazionale: EXPO 2015, a Milano, è stato un progetto di grande qualità, da tutti i punti di vista, per lo meno rispetto ai temi generali, ovvero fare del sistema del cibo e in generale dei modelli di consumo alimentare, una grande piattaforma divulgativa, alla quale i 22 milioni di visitatori hanno fatto riferimento, consumando il consumabile. E’ stato un progetto “pop”, come lo definisce Giuseppe Sala, il commissario che ha governato in modo molto professionale, con tutti suoi collaboratori, 6 mesi di eventi, di flussi, lasciando che i contenuti si svelassero nella loro autonomia, come d’altro canto era già previsto nell’impostazione generale. Per questa ragione, è necessario dividere in due il giudizio; in primo luogo la macchina organizzativa e progettuale ha funzionato e ha consentito alla città di Milano e al territorio italiano, una sorta di capitalizzazione per il futuro prossimo. Altro, ma non negativo, è il giudizio rispetto ai contenuti culturali e scientifici che rimarranno nel dopo Expo; dialogando con chi ha tenuto le fila, Salvatore Veca, ho compreso che sia il documento finale, sia, soprattutto, gli impegni che le diverse componenti hanno preso, siano in grado di garantire lo sviluppo successivo di alcune idee, che stanno al centro della filosofia di EXPO. Ovviamente, in questa fase, dopo l’euforia, è necessario essere realisti, nei riguardi di una politica capace di guardare lungo, ma questo è un altro discorso. In EXPO è il presente che è stato protagonista, sono state le famiglie, le scuole, il pubblico generico che ha trasformato una città, nata dalla nulla, in una sorta di grande viale dove hanno potuto parlare popoli, lingue, antropologie diverse. Claude Lévi-Strauss probabilmente l’avrebbe visitato come se fosse una sorta di laboratorio, certamente contraddittorio, sospeso tra “il crudo e il cotto”, cercando di cogliere le contraddizioni, i limiti, le possibili qualità, il tutto con un occhio laico e non ideologico. Da questo punto di vista, sono stato protagonista di una visita all’EXPO, con due grandi vecchi, lo scultore Arnaldo Pomodoro, 89 anni, e Gillo Dorfles, 105 anni. I loro occhi hanno visto ciò che noi “comuni umani” non siamo stati, forse per protagonismo culturale, non siamo stati di scorgere; ovvero un futuro, la prima domanda di Gillo è stata:”Dove è il futuro?”, visitando il Padiglione 0 di Davide Rampello e Michele de Lucchi; non è una critica, è un giudizio positivo, nei riguardi però di una narrazione passata, già conosciuta, ma forse non in grado di cogliere le contraddizioni del presente, in questo caso rappresentate dalla folla che visita la storia, mangiando panini, patatine, ovvero consumando un presente, non certo di grande qualità alimentare, ma certamente molto interessante sul piano antropologico e dei comportamenti. Arnaldo ha colto l’effimero di una città di cartapesta, disegnata comunque in modo professionale, ma in ogni modo destinata a morire, con l’esclusione della piattaforma dei servizi e del padiglione Italia. Ovvero Gillo e Arnaldo sono andati oltre, interrogandosi sul dopo, ma godendo il presente, divertendosi nella visita, per la folla diversa da quella museale, per i profumi, gli odori, la gestualità diffusa. Ecco forse questa è la grande eredità di EXPO; siamo di nuovo nei flussi del mondo, senza atteggiamenti accademici e ideologici. Spetta a noi, dai diversi punti di vista, coglierne l’eredità.
Paolo Marchi
Expo è stata una straordinaria opportunità per Milano e l’Italia di comunicare le sue eccellenze. Io sono orgoglioso di avervi partecipato con un progetto che abbiamo battezzato Identità Expo, e provo rabbia pensando a quante straordinarie cose si sarebbero potute fare solo se durante gli anni di avvicinamento all’Expo lobby e ladri non avessero fatto quanto fatto, rallentando tutto maledettamente.
E se loro sono un primo lato della medaglia, poi c’è la seconda faccia popolata da gufi e pessimisti, diversi in malafede, che invitavano a snobbare, riservare, boicottare l’Expo con previsione catastrofiche, dicendo che nulla era pronto, che era tutto sbagliato e fatto male. Risultato: la gente agli inizi è rimasta alla finestra e dopo le vacanze estive è stato tutto un corri corri per il quale tanti dovrebbero chiedere scusa. Se si fosse finito prima con l’area, si sarebbe potuta fare una sana comunicazione, si sarebbero potuti iniziare progetti ancora più profondi, limitando anche l’invadenza di multinazionali che stanno a una tavola buona e sana come Nerone a una stazione di vigili del fuoco. Ma gli italiani hanno una innata vocazione al tafazzismo e all’auto-denigrazione confermando di essere i primi nemici di loro stessi. Io sono fiero della Milano dell’Expo e ricomincerei tutto daccapo, facendo tesoro degli sbagli.
Davide Paolini
Il cibo energia del pianeta, all’Expo non è trovato traccia, forse era già stato consumato.
Un risparmio in più sui prezzi già scontati del sito di Bibliotheca Culinaria. Inserendo il codice del buono nell’apposito spazio al momento del checkout sarà effettuato uno sconto di € 5,00 sull’acquisto minimo di € 90,00 (escluso le spese di spedizione). L’offerta è valida fino al 15 aprile 2015. – Codice buono: pas2015qua – Valore buono sconto: …
Rientrato in Italia da Gerusalemme, lo chef Franco Luise sarà il protagonista di una serie di incontri per presentare il suo ultimo libro, Cuoco senza stelle. Ecco le prime tappe: 10 Settembre: Latina, Hotel Europa 12 Settembre: Sorrento, Hotel Conca Park 17 Settembre: Pompei, Ristorante President 20 Settembre: Pordenone (nell’ambito della manifestazione Pordenonelegge), …
Per chi si trova nella splendida campagna toscana, il 26 settembre ci sarà un’opportunità davvero speciale per dialogare con Franco Luise, autore di Cuoco senza Stelle, in uno dei luoghi fondamentali per la sua formazione professionale, La Locanda dell’Amorosa di Sinalunga (SI). Ecco l’elenco di tutte le tappe del tour Cuoco senza stelle: Sabato …
Bibliotheca culinaria ti invita a Modena, domenica 17 maggio ore 17.30 presso il Tinello letterario dei Giardini del Gusto ai Giardini Ducali. Rossella Venezia, blogger, fotografa e autrice di due libri di cucina, Profumo di biscotti e All’ombra dei mandorli in fiore racconterà il suo non comune percorso professionale che la vede protagonista nel mondo …
Quel che resta di Expo
Per tutto il mese di ottobre abbiamo tutti letto molti articoli dedicati ad Expo collocati in blog e riviste online, di operatori del settore cibo e dintorni o della comunicazione.
I commenti non erano più quelli di maggio, incuriositi e speranzosi che Expo potesse essere per Milano e l’Italia una scommessa vinta, più che altro si trattava di cronache personali della propria “expogiornata”.
Iniziavano quasi tutti nello stesso modo, addirittura con l’identica frase ”E alla fine sono andato ad Expo” come se passarci almeno una giornata prima che chiudesse i battenti fosse un obbligo faticoso e scarsamente interessante al quale non ci si potesse sottrarre, un po’ come prepararsi a subire il pranzo di Natale in famiglia con parenti semidimenticati e bambini scatenati: lo si fa per non sentirsi in colpa e per non risultare manchevoli, asociali.
Così abbiamo letto, scoperto o abbiamo avuto conferma che in Expo è stato difficile trovare un’edicola, che per saltare la coda è bastato intrufolarsi tra i giornalisti nessuno chiedeva il pass, che gli stand più celebrati erano in realtà i più inutili, che i ristoranti erano cari, che le code per entrare nei padiglioni avevano tempi d’attesa disumani ecc..racconti di fantozziana memoria uniti dal comune desiderio di sottolineare inefficienze, disorganizzazione, disuguaglianze di trattamento.
Abbiamo pensato che questi aspetti egoexpocentrici siano alla fine di scarso rilievo, che le riflessioni su Expo meritino un livello di approfondimento maggiore e meno cronachistico, e quindi abbiamo pensato di rivolgere una unica domanda (cosa resterà di Expo?) ad alcuni qualificati professionisti che attraverso il loro punto di vista ci aiutino a comprendere il vero senso di questa manifestazione.
Alberto Capatti
Non ci sono solo due modi di vedere EXPO, da dentro o da fuori, nella folla o con distacco, c’è una terza lente d’ingrandimento che, per un caso fortuito, è fruibile all’esterno, ma vi si può accedere con il medesimo biglietto. E’ la mostra *Arts & Food, Cucine & Ultracorpi* dal 1 maggio e rimasta fino al 31 ottobre in Triennale. Avrebbe dovuto essere al centro del recinto di Rho ed è finita nel parco del Castello. Entriamo nelle ben note sale, spazi vasti, scaloni, soffitti alti o viceversa nell’impluvio, e nel rigore architettonico ritroviamo ogni tipo di oggetti, quadri, foto, coltelli, ricettari, teche e tavoli, il design e gli elettrodomestici. Tutti datati 1851-2015 ? Il visitatore è incapace di dirlo con precisione, ma non è la cronologia che guida il percorso. E’ piuttosto una modernità che come una marea sommerge i visitatori, e come un naufragio lascia ovunque relitti, stoviglie e tavole. Il fascino del disordine è indubbio perché la nostra stessa cultura alimentare perde pezzi e ne recupera dal passato, guizza e ristagna, e tutto procede a comparti: chi studia il design, chi la storia, chi le nature morte e chi vita e morte degli chef. Teoricamente c’è un doppio catalogo curato da Celant e stampato da Electa, ma non ho visto nessuno che ne reggesse i due chili e del resto non è nemmeno un catalogo ma una monumentale monografia. Quando lo consulti a casa ti rendi conto che “Miss Grape” di Mel Ramos è su internet come “Cheese” di Claes Oldemburg, e così grande parte della mostra. Non è un limite anzi una prova di forza. Nelle sale ormai molti guardano e memorizzano solo con il telefono. Che rapporto con EXPO? “Arts & Food” ne è la memoria smemorata, e una estrapolazione culturale, finita nella Triennale si direbbe per scherzo, ubiqua come ogni evento comunicato. E’ un luogo di meditazione esistita fino al 31 ottobre, ma dispersa, disseminata, sopravviverà.
Aldo Colonetti
Arnaldo Pomodoro e Gillo Dorfles hanno compreso più di tutti gli altri, cosa è EXPO.
Tutti i grandi eventi che hanno respiro e finalità internazionali sono destinati a trasformarsi, nell’arco della loro durata, in una serie di narrazioni, definiamoli, laterali, rispetto all’annuncio iniziale. Non è un fatto negativo, appartiene al sistema della progettazione e della comunicazione internazionale: EXPO 2015, a Milano, è stato un progetto di grande qualità, da tutti i punti di vista, per lo meno rispetto ai temi generali, ovvero fare del sistema del cibo e in generale dei modelli di consumo alimentare, una grande piattaforma divulgativa, alla quale i 22 milioni di visitatori hanno fatto riferimento, consumando il consumabile. E’ stato un progetto “pop”, come lo definisce Giuseppe Sala, il commissario che ha governato in modo molto professionale, con tutti suoi collaboratori, 6 mesi di eventi, di flussi, lasciando che i contenuti si svelassero nella loro autonomia, come d’altro canto era già previsto nell’impostazione generale. Per questa ragione, è necessario dividere in due il giudizio; in primo luogo la macchina organizzativa e progettuale ha funzionato e ha consentito alla città di Milano e al territorio italiano, una sorta di capitalizzazione per il futuro prossimo. Altro, ma non negativo, è il giudizio rispetto ai contenuti culturali e scientifici che rimarranno nel dopo Expo; dialogando con chi ha tenuto le fila, Salvatore Veca, ho compreso che sia il documento finale, sia, soprattutto, gli impegni che le diverse componenti hanno preso, siano in grado di garantire lo sviluppo successivo di alcune idee, che stanno al centro della filosofia di EXPO. Ovviamente, in questa fase, dopo l’euforia, è necessario essere realisti, nei riguardi di una politica capace di guardare lungo, ma questo è un altro discorso. In EXPO è il presente che è stato protagonista, sono state le famiglie, le scuole, il pubblico generico che ha trasformato una città, nata dalla nulla, in una sorta di grande viale dove hanno potuto parlare popoli, lingue, antropologie diverse. Claude Lévi-Strauss probabilmente l’avrebbe visitato come se fosse una sorta di laboratorio, certamente contraddittorio, sospeso tra “il crudo e il cotto”, cercando di cogliere le contraddizioni, i limiti, le possibili qualità, il tutto con un occhio laico e non ideologico. Da questo punto di vista, sono stato protagonista di una visita all’EXPO, con due grandi vecchi, lo scultore Arnaldo Pomodoro, 89 anni, e Gillo Dorfles, 105 anni. I loro occhi hanno visto ciò che noi “comuni umani” non siamo stati, forse per protagonismo culturale, non siamo stati di scorgere; ovvero un futuro, la prima domanda di Gillo è stata:”Dove è il futuro?”, visitando il Padiglione 0 di Davide Rampello e Michele de Lucchi; non è una critica, è un giudizio positivo, nei riguardi però di una narrazione passata, già conosciuta, ma forse non in grado di cogliere le contraddizioni del presente, in questo caso rappresentate dalla folla che visita la storia, mangiando panini, patatine, ovvero consumando un presente, non certo di grande qualità alimentare, ma certamente molto interessante sul piano antropologico e dei comportamenti. Arnaldo ha colto l’effimero di una città di cartapesta, disegnata comunque in modo professionale, ma in ogni modo destinata a morire, con l’esclusione della piattaforma dei servizi e del padiglione Italia. Ovvero Gillo e Arnaldo sono andati oltre, interrogandosi sul dopo, ma godendo il presente, divertendosi nella visita, per la folla diversa da quella museale, per i profumi, gli odori, la gestualità diffusa. Ecco forse questa è la grande eredità di EXPO; siamo di nuovo nei flussi del mondo, senza atteggiamenti accademici e ideologici. Spetta a noi, dai diversi punti di vista, coglierne l’eredità.
Paolo Marchi
Expo è stata una straordinaria opportunità per Milano e l’Italia di comunicare le sue eccellenze. Io sono orgoglioso di avervi partecipato con un progetto che abbiamo battezzato Identità Expo, e provo rabbia pensando a quante straordinarie cose si sarebbero potute fare solo se durante gli anni di avvicinamento all’Expo lobby e ladri non avessero fatto quanto fatto, rallentando tutto maledettamente.
E se loro sono un primo lato della medaglia, poi c’è la seconda faccia popolata da gufi e pessimisti, diversi in malafede, che invitavano a snobbare, riservare, boicottare l’Expo con previsione catastrofiche, dicendo che nulla era pronto, che era tutto sbagliato e fatto male. Risultato: la gente agli inizi è rimasta alla finestra e dopo le vacanze estive è stato tutto un corri corri per il quale tanti dovrebbero chiedere scusa. Se si fosse finito prima con l’area, si sarebbe potuta fare una sana comunicazione, si sarebbero potuti iniziare progetti ancora più profondi, limitando anche l’invadenza di multinazionali che stanno a una tavola buona e sana come Nerone a una stazione di vigili del fuoco. Ma gli italiani hanno una innata vocazione al tafazzismo e all’auto-denigrazione confermando di essere i primi nemici di loro stessi. Io sono fiero della Milano dell’Expo e ricomincerei tutto daccapo, facendo tesoro degli sbagli.
Davide Paolini
Il cibo energia del pianeta, all’Expo non è trovato traccia, forse era già stato consumato.
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Buono sconto pasquale
Un risparmio in più sui prezzi già scontati del sito di Bibliotheca Culinaria. Inserendo il codice del buono nell’apposito spazio al momento del checkout sarà effettuato uno sconto di € 5,00 sull’acquisto minimo di € 90,00 (escluso le spese di spedizione). L’offerta è valida fino al 15 aprile 2015. – Codice buono: pas2015qua – Valore buono sconto: …
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